La Scuola da Berlinguer a Gelmini.

di Roberto Renzetti da www.fisicamente.net 30.9.2008.

Non sembri irriverente ma quanto sta operando Gelmini è il seguito inevitabile dell'operazione iniziata con la vergogna riformista di Berlinguer.
E la cosa non la dico da ora ma da una decina di anni ... se solo l'uso della memoria diventasse una ginnastica non tanto per gli italiani quanto, almeno, per alcune persone che queste cose le hanno lette ma le hanno snobbate come i vaneggiamenti di uno che faceva fantapolitica.
Prima di passare a qualche riflessione, provo a riassumere i termini della questione in modo conciso ma efficace: per privatizzare occorre prima dequalificare in modo da rendere inappetibile il prodotto e permettere ad altre entità di entrare al suo posto.

Si può dire che la scuola pubblica costa troppo ed occorre piano piano ridurne la portata, occorre quindi trovare modi nuovi per avvicinarsi all'istruzione. Tra questi: la scuola privata, l'educazione a distanza e le scuole pubbliche messe in concorrenza per assegnare loro i fondi indispensabili. Delle scuole occorre misurare l'efficacia e l'efficienza. Ed è inutile dire che le scuole sottoposte ad una forte concorrenza, nel temere le sanzioni conseguenti alla pubblicazione della lista dei risultati degli esami e spinte dal proprio interesse, si concentrano di più nei sintomi che nelle cause dei problemi con i quali hanno a che fare. Di conseguenza, le scelte pedagogiche sono spesso le meno efficaci per gli alunni scolasticamente più deboli.
Ricostruisco in breve.

La riforma Berlinguer partì a rimorchio di quanto faceva la UE (1) che con Delors e Cresson spingevano con forza verso la privatizzazione della scuola. I documenti prodotti da questi due riformatori, a loro volta, nascevano su sollecitazione della ERT (Associazione potente di industriali europei) (2), dell'OCSE (3), della Banca Mondiale (4) e perfino dal G8 del 1999 e del 2001(5).

Ho affrontato uno studio dettagliato sull'argomento e quindi rimando ad esso: La scuola sotto attacco (
http://www.fisicamente.net/index-668.htm ).

La classe politica italiana ha lavorato, tutta, a far sembrare il cammino della Riforma come se scaturisse da esigenze nazionali e contingenti. Il processo riguarda tutto il mondo avanzato, e particolarmente l'Europa. E' scopo del Paese guida dell'Occidente, gli USA, creare dei minimi comuni denominatori al ribasso con l'Europa. Occorre azzerare ogni rimasuglio di Stato sociale e quindi di scuola pubblica, per dare campo libero al mercato. E queste cose non sono, appunto, delle novità; sono, ad esempio, annunciate come piano da estendere a tutto l'Occidente in pubblicazioni dell'Unesco(6) che espressamente parlano di decentralizzazione delle scuole, della standardizzazione dei metodi e dei contenuti, della gestione aziendalistica delle scuole, della professionalizzazione dei docenti, della competitività (competitivity-centred).

La Riforma Gelmini ci ha messo di fronte a parole ed atti che nascondono un solo fine: una crescente e voluta descolarizzazione neppure ammantata di giustificazioni pedagogiche. Quanto dico ha un qualche sostegno nel lifelong learning, nell'imparare nel corso di tutta la vita, che viene sempre portato a sostegno di buone intenzioni. Il Consiglio Europeo di Lisbona del 2000(7) ha confermato il ruolo chiave del lifelong learning nel modello sociale europeo, ruolo che, secondo la Commissione Europea (EU, 2001), si sta affermando attraverso strategie, piani, processi distinti, ma complementari, come, ad esempio, la strategia europea per l’impiego, l’agenda sociale europea, il piano d’intervento per la mobilità e lo sviluppo delle abilità e l’e-learning. E Berlinguer rivendica Lisbona 2000 quando afferma:
"È stato quel Consiglio europeo del 2000, proprio a Lisbona, ad imprimere la svolta che ha accresciuto nell'Unione, a livello dei Capi di Stato e di Governo, la consapevolezza strategica sul ruolo dell'istruzione-formazione nella società della conoscenza. Da allora, è a questa Europa che dobbiamo l'indicazione di obiettivi comuni, ben oltre il provincialismo delle soluzioni autarchiche o nostalgiche che si continuano a praticare nei singoli stati. E gli obiettivi sono intanto tre: migliorare la qualità, agevolare l'accesso a tutti, aprirsi al mondo" (da l'Unità del 20.09.2004).
Allo stesso modo, anche i documenti relativi alle politiche nazionali fanno riferimento alla necessità di promuovere la cultura dell’apprendimento continuo per far fronte alle pressioni economiche e sociali dell’economia e della società della conoscenza. Vale la pena sottolineare sia la forte influenza delle organizzazioni intergovernative sul dibattito nazionale, sia l’introduzione del concetto di lifelong learning nei processi di globalizzazione culturale ed economica. Caspita, e come si fa ad affrontare i costi di questa impresa, se non ci sono neppure le risorse per una scuola pubblica decente ? Gli industriali lo sanno e ce lo fanno spiegare dall'OCSE (7):
"l'apprendimento a vita non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti ma deve essere assicurato da 'prestatori di servizi educativi' (...). La tecnologia crea un mercato mondiale nel settore della formazione". Chiaro, no? Non si tratta di avere una scuola come riferimento stabile, ma una sorta di servizio d'urgenza fornito a pagamento attraverso TV ed Internet. E' inutile sprecare soldi per una scuola pubblica per educare milioni di persone quando a noi ne servono poche, ben preparate ed a costi infinitamente minori. E quest'ultima cosa va sotto il nome di nuove tecnologie didattiche, delle quali sono esperti venditori i pedagogisti sempre al servizio di qualunque padrone.
Ma le direttive europee e delle varie lobbies padronali, hanno una qualche ricaduta nell'agire pratico di un governo ? Vediamo un esempio. Il Memorandum della UE del 30/10 del 2000 diceva:

Si distinguono tre diverse categorie fondamentali di apprendimento finalizzato:

•  l’apprendimento formale che si svolge negli istituti d’istruzione e di formazione e porta all’ottenimento di diplomi e di qualifiche riconosciute;

•  l’apprendimento non formale che si svolge al di fuori delle principali strutture d’istruzione e di formazione e, di solito, non porta a certificati ufficiali. L’apprendimento non formale è dispensato sul luogo di lavoro o nel quadro di attività di organizzazioni o gruppi della società civile (associazioni giovanili, sindacati o partiti politici). Può essere fornito anche da organizzazioni o servizi istituiti a complemento dei sistemi formali (quali corsi d’istruzione artistica, musicale e sportiva o corsi privati per la preparazione degli esami);

• l’apprendimento informale è il corollario naturale della vita quotidiana. Contrariamente all’apprendimento formale e non formale, esso non è necessariamente intenzionale e può pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle sue conoscenze e competenze.

Fino a questo momento, l’istruzione formale ha dominato la riflessione politica, influenzando l’impostazione dei modelli d’istruzione e formazione nonché la percezione generale di “apprendimento”. L’apprendimento permanente senza soluzioni di continuità consente l’inserimento dell’apprendimento non formale ed informale in un unico contesto. L’istruzione non formale, per definizione, è impartita al di fuori di scuole, istituti d’istruzione superiori, centri di formazione o università. Questo tipo d’istruzione è raramente percepita come una formazione “vera e propria” e i suoi risultati non hanno un valore riconosciuto sul mercato del lavoro. L’apprendimento non formale è pertanto in generale sottostimato. Tuttavia, è l’apprendimento informale che rischia di essere completamente trascurato, benché costituisca la prima forma di apprendimento e il fondamento stesso dello sviluppo infantile. Il fatto che la tecnologia informatica sia entrata prima nelle famiglie che nelle scuole conferma l’importanza dell’apprendimento informale. L’ambiente informale rappresenta una riserva considerevole di sapere e potrebbe costituire un’importante fonte d’innovazione nei metodi d’insegnamento e di apprendimento ... si tratta ora innanzitutto di valutare la complementarità dei sistemi di apprendimento formale, non formale e informale e, in secondo luogo, di costruire reti aperte di offerte di formazione e di riconoscimento delle qualifiche tra questi tre contesti dell’apprendimento”.

Sembrerebbero cose stravaganti. Leggiamo ora la premessa alla Riforma Moratti del cattolico Bertagna:

"In genere, si distingue tra sistema educativo informale, non formale e formale. Il primo è rappresentato dalla vita sociale ordinaria che non esprime programmatiche potenzialità formative, pur determinandole di fatto, funzionalmente, in maniera anche irreversibile. Il secondo riguarda quell'insieme di istituzioni che, pur non essendo strutturate in maniera esplicita per promuovere, con gradualità e sistematicità, processi educativi di istruzione e formazione, tuttavia esprime intenzionalità in questa direzione in un territorio e lungo l'intero arco della vita dei soggetti. L'ultimo si riferisce specificatamente al sistema educativo di istruzione e di formazione istituito e strutturato dalla Repubblica (Stato, Regioni, Enti Locali [ci si sta qui riferendo alla modifica, fatta dal centrosinistra, del Titolo V della Costituzione – art. 55 - che permette il finanziamento delle scuole private]) per i minori e per le giovani generazioni. L'ipotesi di riforma che si presenta vuole essere attenta all'integrazione tra questi diversi sistemi (...). L'attenzione si sposta, dunque, dai luoghi di istruzione (scuola) e della formazione (centri, agenzie, servizi, imprese) alla certificazione delle competenze finali che si possono e si debbono maturare in un ambiente piuttosto che in un altro (...) certificazione delle competenze che proprio per la sua natura rifugge da ogni esclusività di percorso e, più che consentire, favorisce i passaggi tra un indirizzo e l'altro del sistema educativo di istruzione e formazione (...) Le tradizionali alternative tra scuola (statale) e centri della formazione professionale (regionali o non statali), tra scuola e impresa, tra scuola ed extra scuola perdono, perciò, la loro drammaticità (...) Si aprono, al contrario, le prospettive di una solidarietà cooperativa tra tutte le esperienze e i luoghi formativi nei quali si possono raggiungere livelli di maturazione educativa, culturale e professionale, (...) indipendentemente dal fatto che siano statali, regionali o di enti e privati (accreditati)".

Si copia pedissequamente ed il cattolico Bertagna diventa pedagogista, governativo e padronale.

Alla descolarizzazione strisciante si accompagnano: la progressiva perdita di importanza dell'istituzione scuola che sempre più acquisterà carattere flessibile; la progressiva perdita del valore di promozione sociale ed emancipazione politica della scuola (una bandiera della sinistra da sempre fin quando l'ha fatta cadere), valore sostituito dall'efficacia produttiva e dalla capacità di inserimento nel mondo del lavoro (tutti i valori diventano economici); la progressiva disintegrazione della scuola medesima attraverso la sua scelta individuale secondo una concezione consumistica attraverso la promozione della scelta delle famiglie (tanto cara ai cattolici reazionari), intese come corpo sociale. E proprio quest'ultimo aspetto caratterizza la strada presa da questo governo, in linea comunque con le scelte nefaste iniziate con Berlinguer. In Italia, infatti la scuola privata non ha tradizioni di un qualche rilievo. E' solo la scuola confessionale che si propone alla gestione della privatizzazione con una ricaduta sul piano della perdita completa della laicità dello Stato per le manie di grandezza del ducetto di turno.
Con Gelmini abbiamo superato la fase ibrida di transizione. Da una parte l'esplosione della concorrenza, delle iniziative individuali, spesso estemporanee, seguendo la logica dell'impresa; dall'altro un centralizzato Ministero che tutto decide e dirige. Quest'ultimo sta ora dando la definitiva spallata alla scuola pubblica dimenticando di rappresentare i cittadini e schierandosi apertamente con i privati che, con la scuola, vogliono fare affari.
In estrema sintesi i passi sono stati i seguenti:

si è destrutturata la scuola con l'abolizione dei programmi nazionali;
al loro posto è subentrata una offerta formativa (POF) che, nelle intenzioni, sarebbe dovuta servire per mettere in concorrenza vari istituti (al soccombente nessun finanziamento);
restavano aboliti gli esami di riparazione (D'Onofrio) e non sostituiti da nulla in termini di diritto ma solo in termini di buona volontà (recupero senza prove finali eventualmente sanzionatorie);
incertezza di canali di assunzione per gli insegnanti con abilitazioni e passaggi di cattedra finalizzati solo al posto di lavoro e non alla professione;
salari che dissuadevano i più preparati dal fare l'insegnante professionista;
istituzione di dirigenti-manager non in grado di svolgere il loro ruolo per la loro generale impreparazione;
mancanza continua di mezzi e finanziamenti con impossibilità di portare avanti qualunque progetto;
accumulo di burocrazia che faceva stare a scuola indefinitamente senza concludere nulla;
con tutto ciò la scuola si è andata rapidamente dequalificando anche perché senza diritto hanno buon gioco le famiglie a trasferire i giudizi in tribunale e gli studenti ad avere elementi per denigrare scuola ed operatori scolastici;
ed il bullismo è figlio di questa anarchia;
una scuola così fa pensare a molte famiglie ad una scuola diversa, in cui vi sia ordine e si studi;
e ciò che voleva Berlinguer, dequalificare è riuscito;
manca il solo passo, imminente, del privatizzare quasi tutto, lasciando al pubblico ciò che è vecchio e fatiscente, classi numerose, assenza di continuità didattica, ...

E che dire delle scuole elementari ? Sono tra le migliori al mondo per unanime riconoscimento nazionale ed internazionale. Hanno funzionato benissimo per moduli di tre insegnanti su due classi (senza che ciò significasse riduzione di orario per gli insegnanti). Le ore eccedenti servivano per il tempo pieno (che, deve essere chiaro, non è un doposcuola) che deve prevedere anche una mensa in cui vi sia la presenza dei medesimi insegnanti. Si è detto da più parti che da trent'anni a questa parte il mondo è cambiato parecchio e le competenze richieste nella scuola primaria sono aumentate. Non più solo il leggere, scrivere e far di conto ma anche, educazione alimentare, informatica, accoglienza, lingua straniera, ... tenendo conto della multiculturalità nella quale oggi siamo immersi con bambini di altri Paesi ed altre culture. Da ultimo, e non per la sua importanza, l'integrazione completa di bambini con handicap.
Vi è un difetto grave dietro questa articolazione di nuovi compiti non più individuabili in un solo insegnante (questo è ciò che tutti dicono, con ragione). Se un insegnante non copre tutto, tre insegnanti con la stessa preparazione non risolvono il problema. E, nei settori più avveduti, questa questione era ben presente. Ma la CISL (sì, questo sindacato cattolico e padronale) si è sempre opposta a chi proponeva un curriculum per gli insegnanti elementari che differenziasse via via le aree (aree non discipline!) di intervento. Di fronte ad insegnanti che coprissero, ad esempio, tre aree (ad esempio: area sociale e curricolare, area tecnico scientifica, area linguistica), oggi nessuno avrebbe potuto aprire bocca, neppure per un solo fiato. Ma si può fare i dinamitardi che si accordano su tutto con il governo, facendo i più realisti del re come mosche cocchiere, essendo sindacato, cattolico, padronale ed opportunamente governativo (leggi: CISL). Un insieme esplosivo, appunto.
E gli altri ? Volevano ma non hanno insistito come avrebbero dovuto.

In definitiva il pranzo di Berlusconi è servito. E' avvelenato per vari motivi. Si sottraggono alla scuola 9 miliardi di euro in 3 anni. Si rende la scuola ciò che ho cercato di dire. Si prosegue, senza nascondere le vergogne, finanziando scuole confessionali e migliaia di insegnanti di religione. I soldi così rapinati ad un servizio pubblico, da riformare sì ma non da distruggere, servono per essere spartiti tra gli squali che fanno parte dei nostri imprenditori, famosi nel mondo per prendere allo Stato senza rischiare mai nulla in proprio. E Berlusconi è il grande elemosiniere. Finanzierà una Expo in cui si prevedono 15 miliardi di euro di spesa, un ponte sullo Stretto in cui se ne andranno 9 miliardi di euro, centrali nucleari che butteranno al vento centinaia di miliardi, ... e queste opere saranno realizzate da banchieri, costruttori, industrialotti ... amici, con un travaso di denaro impressionante dalle tasche dei cittadini a quelle degli squali, come già sperimentato con la truffa (per i cittadini) Alitalia.

Come recuperare questo sfacelo ? Opponendosi in tutti i modi possibili ma con un progetto. UN PROGETTO che l'opposizione ufficiale non ha. Ma guardandosi intorno si scopre che ministra ombra è un'ombra di ministra che è solo una teodem che capisce di scuola come io di uncinetto ma che ha bene in mente i suoi doveri verso Santa Romana Chiesa, ecco, con costei, come ci si oppone ? E la CGIL ? Si minaccia di far fuori il 20% degli occupati di una categoria e la CGIL Scuola non ha detto nulla fino all'intervento di Epifani. E gli altri ? A parte i sindacati di base, gli altri non ci sono e, se ci sono, sono a pranzo con Letta. Come si fa a fare una lotta contro chi ti deve poi premiare con distacchi e comandi ?

Roberto Renzetti

PS1. Il Presidente Napolitano, con scelta sempre adeguata dei tempi, ha da dire questo (da La Stampa.it del 29 settembre):

Scuola, Napolitano: "Tagli necessari"

[...] «Le condizioni del nostro sistema scolastico richiedono scelte coraggiose di rinnovamento: non sono sostenibili posizioni di pura difesa dell’esistente». Ci vuole un «confronto politico nelle sedi istituzionali». Serietà, serenità e dialogo non possono prescindere da alcuni punti fermi. «L’Italia deve ridurre a zero nei prossimi anni il suo deficit pubblico per incidere sempre di più sul debito accumulato nel passato», ha spiegato Napolitano, «nessuna parte sociale e politica può sfuggire a questo imperativo. Ed esse comporta anche un contenimento della spesa pubblica, che va collocato tra le priorità per l’avvenire del Paese e merita una speciale considerazione» anche quando «si affronta il problema complessivo della riduzione della spesa pubblica corrente». Ma per quel che riguarda la scuola «l’obiettivo di minor spesa non può prevalere su tutti gli altri». Bisogna, insomma, esaminare bene tutto «punto per punto, con grande attenzione, in un clima di dialogo». Certo però «ciò non può risolversi nel rifiuto di ogni revisione necessaria al risparmio».

Napolitano ha auspicato «per il nostro sistema scolastico scelte coraggiose di rinnovamento», perchè «non sono sostenibili posizioni di pura difesa dell’esistente». Ci vuole uno sforzo di reattività, come quello che vede «la sperimentazione di una nuova disciplina dedicata alla Costituzione e alla cittadinanza». «La Costituzione costituisce la base del nostro stare insieme, come italiani, nel rispetto di tutte le diversità, le esigenze e le opinioni, ma nel comune rispetto dei principi e delle regole fondamentali», ha proseguito, «ad esso possiamo attingere, al suo spirito e alle sue norme per migliorare l’Italia, per liberarla da degenerazioni e da minaccie come quelle della criminalità, della violenza e dell’intolleranza». Agli insegnanti Napolitano manda a dire che «è in primo luogo a loro che si deve tutto quello che si realizza di positivo nella scuola, anche nelle condizioni più difficili e disagiate, specie nel Mezzogiorno». Quindi devono «dare il loro contributo al superamento di tutte le difficoltà che in questa fase la scuola italiana è chiamata a fronteggiare aprendosi al cambiamento».

PS2. Leggiamo ora cosa dice Berlinguer (sempre confuso, il pargolo):

L'ex ministro Berlinguer: la scuola non può restare allo status quo

"Capisco le paure dei docenti ma è il momento di cambiare"
MARIO REGGIO (da Repubblica del 28 settembre)

ROMA- «Gli insegnanti sono in apprensione ed è comprensibile quando è in gioco il posto di lavoro. E senza il loro consenso non passa nessun cambiamento. La nostra scuola, però, ha estrema necessità di una mutazione profonda che non si ottiene difendendo lo status quo, ma guardando al futuro».

Luigi Berlinguer non vuole commentare la decisione della Cgil di scendere in piazza da sola contro il governo, ma non rinuncia a rilanciare, a 76 anni, il suo messaggio di cambiamento.

Come si può fare?

«Dobbiamo cancellare definitivamente la scuola ideata nel '25 da Giovanni Gentile, una scuola chiusa alla curiosità scientifica, all'arte praticata, alla centralità dell'alunno, al suo coinvolgimento intellettuale all'education. Oggi il problema centrale è rivedere ciò che si insegna e come si insegna».

E possibile?

«So che è molto difficile ma non possiamo rinunciarci. È indispensabile trovare una base comune di ampiezza costituzionale tra le forze politiche e sociali per cambiare e migliorare la scuola italiana».

Cosa pensa del maestro unico?

«Se questa tematica divide cerchiamo un terreno comune che coniughi risparmio e riforma. Per insegnare la lingua straniera e praticare la musica occorrono insegnanti specialisti, senza perdere i vantaggi del tempo pieno. Alle elementari è molto più efficace un'articolazione delle competenze dei docenti: l'insegnante generalista e quelli specialisti. Il comitato per l'apprendimento pratico della musica, che presiedo, sta per presentare al ministro Gelmini un progetto per il ciclo primario che non prevede un aumento di spesa [sic ! ndr]».

Lei ha tentato di introdurre la riforma dei cicli. Ma senza successo.

«Introduceva una nuova visione dell'infanzia e dell'adolescenza ed il passaggio morbido dalle elementari alle medie, che oggi è causa della dispersione scolastica. Comportava anche la riduzione di un anno dell'intero ciclo primario. La prima elementare oggi trova i bambini che sanno già leggere e scrivere, inoltre per i nostri ragazzi uscire dalla scuola a 18 anni anziché a 19, come nel resto d'Europa, sarebbe un gran vantaggio».

Ma andò male.

«Una grande riforma bloccata da una parte della destra e da una parte dei sindacati. Come è successo a proposito della valutazione dell'insegnamento scolastico e ne paghiamo ancora le conseguenze. Bisogna, invece, provvedere subito».


NOTE

(1) L'educazione e la formazione a distanza, Sec (90) 479, 7 marzo 1990.
Rapporto sull'insegnamento superiore aperto e a distanza nella comunità europea, Sec(91), 388 finale, 24 maggio 1991.
Commission of the European Communities, White Paper on growth, competitiveness, and employment - The challenges and ways forward into the 21st century, COM (93) 700 final, Brussels, 5 December 1993 (chapitre 3, emploi).
UE, Libro Bianco sull'istruzione e la formazione. Insegnare ed apprendere: verso la società cognitiva. COM (95) 590 finale.
http://www.ueonline.it/Focus/Istruzione/Istruzione%20permanente.pdf
http://www.ueonline.it/Focus/Istruzione/istruzioneindex.htm
http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/cnc/2001/com2001_0172it01.pdf
http://europa.eu.int/comm/education/programmes/elearning/ programme_en.html.
http://www.elearningeuropa.info/index.php?lng=5&doclng=5
Présidence du Conseil européen, Emploi- réformes économiques et cohésion sociale - pour une Europe de l´innovation et de la connaissance, 23 et 24 mars 2000.
Présidence du Conseil européen , Conclusions de le Présidence, Conseil européen des 24 et 24 mars 2000 à Lisbonne.
J. Delors, L'Education un trésor est caché dedans, Paris 1996. In italiano: Nell'Educazione un tesoro. Rapporto all'UNESCO della Commissione Internazionale sull'Educazione per il Ventunesimo Secolo - Armando Editore, Roma 1997.
Lamy Adresses Need for New WTO Round, 8 giugno 2000
Lisbona 2000: Conclusioni della Presidenza.
http://www.europarl.eu.int/summits/lis1_it.htm
In proposito la Commissione della Comunità Europea ci informa che l'affermarsi di sistemi di formazione più flessibili ed aperti e lo sviluppo delle capacità di adattamento degli individui saranno sempre più necessarie sia per le imprese, con il fine di migliorare lo sfruttamento delle innovazioni tecnologiche messe a punto o acquistate, sia per gli individui medesimi, una percentuale importante dei quali corre il rischio di dover cambiare quattro o cinque volte di attività professionale nel corso della vita. Libro Bianco della UE (Delors): Crescita, competitività, occupazione - Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo (Dicembre 1993). Pag. 124.
http://europa.eu.int/en/record/white/c93700/contents. html. La stessa Commissione della UE, nei suoi documenti, insiste moltissimo nella flessibilità dell'educazione attraverso scuole flessibili (che i nostri pedagogisti chiamano autonome). E' ormai anacronistica la preparazione professionale specifica. Occorre invece una preparazione che permetta di passare da una funzione all'altra, puntando al massimo della competenza che si avrà quando si sarà capaci di apprendere ad apprendere.

(2) ERT, Education et compétence en Europe, Etude de la Table Ronde Européenne sur l'Education et la Formation en Europe, Bruxelles, Février 1989
ERT, Une éducation européenne, Vers une société qui apprend. Un rapport de la Table Ronde des Industriels européens, Bruxelles, Février 1995.
ERT, Investir dans la connaissance. L'intégration de la technologie dans l'éducation européenne, Bruxelles, Février 1997.

(3) OCSE, Adult Learning and Technology in Oecd Countries, Paris, 1996
OCSE, Internationalisation of Higher Education, Paris, 1996. Les Technologies de l'information et l'Avenir de l'enseignement post-secondaire, Ocse, Parigi, 1996
OCSE, Education in a Glange: Oecd Indicators 1998, Paris 1998
http://www.ei-ie.org/educ/french/fedhelsinkiselys.html
OCSE, Analyses des politiques éducatives, 1998
Per chi fosse interessato, i risultati di varie indagini PISA si trovano in
http://www.pisa.oecd.org/knowledge/summary/a.htm. (P.I.S.A.: Programme for International Student Assessment; OCDE: Organisation for Economic Cooperation and Development; TIMMS: Third International Mathematics and Science Study; IEA: International Association for the Evaluation of Educational Achievement).
http://www.fisicamente.net/index-898.htm

(4) Banca Mondiale, L’educazione nel mondo che cambia, 1999.

(5) Adaptability, employability and the management of change will be the primary challenges for our societies in the coming century. Mobility between jobs, cultures and communities will be essential. And the passport to mobility will be education and lifelong learning for everyone. [“La flessibilità, l’occupabilità e la gestione del cambiamento saranno le sfide principali per le nostre società nel prossimo secolo. La mobilità tra i lavori, le culture e le comunità sarà essenziale. L’istruzione e la formazione continua per tutti saranno il passaporto per la mobilità” ]. (G8 Comunicato, Colonia 1999, p. 3).

(6) Martin Carnoy, Mondialisation et réforme de l'éducation: ce que le planificateur doivent savoir, Unesco 1999.

(7) Lisbona 2000: Conclusioni della Presidenza. http://www.europarl.eu.int/summits/lis1_it.htm

(8) Adult Learning and Technology in Oecd Countries, Ocse, Parigi, 1996.