Il ddl Calderoli e il progetto Gelmini
all’attacco dello statalismo scolastico.

Giuseppe Di Fazio La Sicilia, 10.9.2008

I precedenti storici

Il ciclone federalista s’abbatte sul sistema scuola, considerato l’emblema del centralismo statale. Il ddl Calderoli e i progetti della Gelmini puntano a scardinare un moloc che ha resistito finora a tutte le riforme (compresa quella dell’autonomia).

Eppure il sistema scolastico era nato - per lo più - dalla libera iniziativa della società (famiglie, Comuni, enti religiosi). Ma dopo l’Unità d’Italia, liberali e fascisti, democristiani e comunisti hanno visto nella scuola uno strumento attraverso cui formare la coscienza nazionale e, in particolare, controllare l’opinione pubblica. L’istruzione da questione educativa (trasmissione di un sapere sulla vita e sulla realtà da una generazione a un’altra) s’è trasformata in questione di egemonia politica, che prescinde dal bene comune del Paese e dalle domande delle famiglie e degli alunni.

Un esempio lampante è costituito dalle vicende dell’ultimo decennio che hanno registrato progetti di importanti riforme, mai entrate pienamente in vigore per l’alternanza delle maggioranze politiche.

Per capire come si sia arrivati alla situazione di stallo odierna occorre, però, risalire alle origini del problema.


La scuola dell’Italia unita

Fin dai primi governi post-unitari la politica scolastica è stata guidata dall’obiettivo di utilizzare il settore dell’istruzione come strumento per favorire quell’unità culturale e politica del Paese che le annessioni, per quanto plebiscitarie, non avevano potuto garantire. C’era da rispondere, certamente, al grave problema dell’analfabetismo: ancora nel 1871 il 72,9% della popolazione italiana (con punte che arrivavano al 90% nel Sud) risultava incapace di leggere e scrivere. Ma c’era anche - secondo il punto di vista delle classi dirigenti - da risolvere la spinosa questione del "monopolio di fatto" della Chiesa e dei privati nel campo educativo, che al momento dell’Unità gestivano i quattro quinti delle scuole secondarie.

La via seguita dai primi esecutivi italiani fu quella di estendere, con qualche ritocco, a tutto il territorio nazionale la legge Casati del 13 novembre 1859. Col passare degli anni fu accentuato, soprattutto, il legame fra obbligo scolastico e statizzazione. Con la legge Coppino del 15 luglio 1877 l’obbligo scolastico divenne strumento fondamentale di laicizzazione e statizzazione della scuola. Anche in campo liberale si levarono voci contro la legge "liberticida" di Coppino che espropriava i genitori di un diritto naturale.

Il ministro dell’Industria, Agricoltura e Commercio dell’esecutivo Depretis, il siciliano Salvatore Majorana Calatabiano, che aveva sotto il suo controllo gli istituti tecnici, accusò apertamente il suo collega dell’Istruzione di confondere «l’ufficio del padre di famiglia e del pedagogo con quello dello Stato»: secondo Majorana il ministro Coppino voleva governare le istituzioni e gli uomini «con sistemi da caserma». Lo stesso argomento fu ripreso da un altro siciliano, Sebastiano Nicotra, nel suo saggio «La scuola libera»: "E’ avvenuto - scriveva Nicotra - che con la scuola caserma lo Stato è tutto nella scuola; esso l’unico istitutore, l’unico professore e pedagogo della gioventù, il solo padre di famiglia, perché il solo educatore dei figli, e quindi l’arbitro assoluto della vita umana".

Nonostante le enunciazioni di principio sull’istruzione obbligatoria e gratuita, tuttavia, la triste piaga dell’analfabetismo restava gravissima: il censimento del 1881 rilevò il 67,3% di analfabeti