Nella
città calabrese l'anno precedente
il record di ammessi con il 93 per cento
Da Brescia a Reggio Calabria.
Così la Gelmini diventò avvocato.
L'esame di abilitazione all'albo nel 2001.
Il ministro dell'Istruzione: «Dovevo lavorare subito»
Gian Antonio Stella Il Corriere della Sera,
4.9.2008
Novantatré per cento di ammessi agli orali!
Come resistere alla tentazione? E così, tra i furbetti che nel 2001
scesero dal profondo Nord a fare gli esami da avvocato a Reggio
Calabria si infilò anche Mariastella Gelmini. Ignara delle polemiche
che, nelle vesti di ministro, avrebbe sollevato con i (giusti)
sermoni sulla necessità di ripristinare il merito e la denuncia
delle condizioni in cui versano le scuole meridionali. Scuole
disastrose in tutte le classifiche «scientifiche» internazionali a
dispetto della generosità con cui a fine anno vengono quasi tutti
promossi.
La notizia, stupefacente proprio per
lo strascico di polemiche sulla preparazione,
la permissività, la necessità di corsi di aggiornamento, il bagaglio
culturale dei professori del Mezzogiorno, polemiche che hanno visto
battagliare, sull'uno o sull'altro fronte, gran parte delle
intelligenze italiane, è stata data nella sua rubrica su laStampa.it
da Flavia Amabile. La reazione degli internauti che l'hanno
intercettata è facile da immaginare. Una per tutti, quella di
Peppino Calabrese: «Un po' di dignità ministro: si dimetta!!»
Direte: possibile che sia tutto vero? La risposta è nello stesso
blog della giornalista. Dove la Gelmini ammette. E spiega le sue
ragioni.
Un passo indietro. È il 2001.
Mariastella, astro nascente di Forza Italia,
presidente del consiglio comunale di Desenzano ma non ancora
lanciata come assessore al Territorio della provincia di Brescia,
consigliere regionale lombarda, coordinatrice azzurra per la
Lombardia, è una giovane e ambiziosa laureata in giurisprudenza che
deve affrontare uno dei passaggi più delicati: l'esame di Stato.
Per diventare avvocati, infatti, non
basta la laurea. Occorre iscriversi
all'albo dei praticanti procuratori, passare due anni nello studio
di un avvocato, «battere» i tribunali per accumulare esperienza,
raccogliere via via su un libretto i timbri dei cancellieri che
accertino l'effettiva frequenza alle udienze e infine superare
appunto l'esame indetto anno per anno nelle sedi regionali delle
corti d'Appello con una prova scritta (tre temi: diritto penale,
civile e pratica di atti giudiziari) e una (successiva) prova orale.
Un ostacolo vero. Sul quale si infrangono le speranze, mediamente,
della metà dei concorrenti. La media nazionale, però, vale e non
vale. Tradizionalmente ostico in larga parte delle sedi
settentrionali, con picchi del 94% di respinti, l'esame è infatti
facile o addirittura facilissimo in alcune sedi meridionali.
Un esempio? Catanzaro. Dove negli
anni Novanta l'«esamificio» diventa via via una industria.
I circa 250 posti nei cinque alberghi cittadini vengono bloccati con
mesi d'anticipo, nascono bed&breakfast per accogliere i pellegrini
giudiziari, riaprono in pieno inverno i villaggi sulla costa che a
volte propongono un pacchetto «all-included»: camera, colazione,
cena e minibus andata ritorno per la sede dell'esame.
Ma proprio alla vigilia del turno della Gelmini scoppia lo scandalo
dell'esame taroccato nella sede d'Appello catanzarese. Inchiesta
della magistratura: come hanno fatto 2.295 su 2.301 partecipanti, a
fare esattamente lo stesso identico compito perfino, in tantissimi
casi, con lo stesso errore («recisamente» al posto di
«precisamente», con la «p» iniziale cancellata) come se si fosse
corretto al volo chi stava dettando la soluzione? Polemiche roventi.
Commissari in trincea: «I candidati — giura il presidente della
«corte» forense Francesco Granata — avevano perso qualsiasi
autocontrollo, erano come impazziti». «Come vuole che sia andata? —
spiega anonimamente una dei concorrenti imbroglioni —. Entra un
commissario e fa: "Scrivete". E comincia a dettare il tema. Bello e
fatto. Piano piano. Per dar modo a tutti di non perdere il filo».
Le polemiche si trascinano per mesi
e mesi al punto che il governo Berlusconi
non vede alternative: occorre riformare il sistema con cui si fanno
questi esami. Un paio di anni e nel 2003 verrà varata, per le
sessioni successive, una nuova regola: gli esami saranno giudicati
estraendo a sorte le commissioni così che i compiti pugliesi possano
essere corretti in Liguria o quelli sardi in Friuli e così via.
Riforma sacrosanta. Che già al primo anno rovescerà tradizioni
consolidate: gli aspiranti avvocati lombardi ad esempio, valutati da
commissari d'esame napoletani, vedranno la loro quota di idonei
raddoppiare dal 30 al 69%.
Per contro, i messinesi esaminati a Brescia saranno falciati del 34%
o i reggini ad Ancona del 37%. Quanto a Catanzaro, dopo certi record
arrivati al 94% di promossi, ecco il crollo: un quinto degli ammessi
precedenti.
In quei mesi di tormenti a cavallo
tra il 2000 e il 2001 la Gelmini si trova dunque a scegliere,
spiegherà a Flavia Amabile: «La mia famiglia non poteva permettersi
di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un
agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare
l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione». Quindi? «La
sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i
figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a
superare l'esame. Per gli altri, nulla. C'era una logica di casta,
per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente
rivisto». E così, «insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da
questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l'esame a Reggio
Calabria».
I risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti.
Nonostante lo scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c'era
stato il primato italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo
che nella Brescia della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il
quadruplo che ad Ancona. Idonei finali: 87% degli iscritti iniziali.
Contro il 28% di Brescia, il 23,1% di Milano, il 17% di Firenze.
Totale: 806 idonei. Cinque volte e mezzo quelli di Brescia: 144.
Quanti Marche, Umbria, Basilicata, Trentino, Abruzzo, Sardegna e
Friuli Venezia Giulia messi insieme.
Insomma, la tentazione era forte.
Spiega il ministro dell'Istruzione:
«Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». Del
resto, aggiunge, lei ha «una lunga consuetudine con il Sud. Una
parte della mia famiglia ha parenti in Cilento». Certo, è a quasi
cinquecento chilometri da Reggio. Ma sempre Mezzogiorno è. E
l'esame? Com'è stato l'esame? «Assolutamente regolare». Non
severissimo, diciamo, neppure in quella sessione. Quasi 57% di
ammessi agli orali. Il doppio che a Roma o a Milano. Quasi il triplo
che a Brescia. Dietro soltanto la solita Catanzaro, Caltanissetta,
Salerno. Così facevan tutti, dice Mariastella Gelmini. Da oggi, dopo
la scoperta che anche lei si è infilata tra i furbetti che cercavano
l'esame facile, le sarà però un po' più difficile invocare il
ripristino del merito, della severità, dell'importanza educativa di
una scuola che sappia farsi rispettare. Tutte battaglie giuste.
Giustissime. Ma anche chi condivide le scelte sul grembiule, sul
sette in condotta, sull'imposizione dell'educazione civica e perfino
sulla necessità di mettere mano con coraggio alla scuola a partire
da quella meridionale, non può che chiedersi: non sarebbero
battaglie meno difficili se perfino chi le ingaggia non avesse
cercato la scorciatoia facile?