Se l’accusa di ideologia
nasconde un’altra ideologia:
a proposito delle classi separate
per gli stranieri.

di Elio Gilberto Bettinelli da ScuolaOggi, 20.10.2008

Nel confronto mediatico e politico sorto a seguito dell’approvazione alla Camera dei deputati della mozione sulle classi-ponte o classi separate per gli alunni stranieri non italofoni, i suoi sostenitori accusano gli oppositori di essere ideologici, intendendo che la loro posizione sarebbe invece oggettiva, neutrale, basata sulla realtà e sull’evidenza dei fatti. L’accusa di ideologismo, lanciata come fango teso a togliere ogni valore alle critiche, sarebbe dunque un’accusa di essere fuori dal mondo, di pensare sulla base di schemi preordinati che forzano la realtà, un’accusa di “vecchiaia” del pensiero. Non si confrontano allora due diversi modi di vedere le cose, diversi modi di prospettare il futuro ma da un lato ci sarebbe l’innocenza degli a-ideologici, dotati di un pensiero che rispecchia l’evidenza, dall’altro una costruzione di pensiero astratta, lontana dalla realtà, vecchia e, si insinua, con secondi fini. Questi, si lascia pensare neanche troppo copertamente, sarebbero contro gli interessi degli italiani, in particolare delle classi e dei ceti sociali più deboli. In questa linea si muovono assessori e rappresentanti politici che accusano dirigenti scolastici di formare classi con prevalenza di alunni stranieri e non vogliono sentire obiezioni riguardanti la presenza sempre più consistenti di famiglie straniere nei bacini d’utenza delle scuole come se gli insediamenti in certi quartieri non fossero direttamente collegati alla politica urbanistica e territoriale degli enti locali, al degrado urbano, al costo degli affitti. Si continua poi sostenendo che è per il bene degli italiani che gli alunni stranieri non italofoni, solo quelli sembra di poter dire ancora per il momento, debbono stare in classi apposite, per non rallentare lo svolgimento del programma… (e infatti, si sostiene, gli italiani fuggirebbero dalle scuole popolate eccessivamente da stranieri). Non importa se anche i recentissimi dati pubblicati sul sito del Ministero della Pubblica Istruzione (sic !) ci confermano cose già risapute sulla scolarità degli alunni CNI (cittadinanza non italiana): essi vengono bocciati in misura assai più significativa dei compagni italiani in ogni ordine e grado scolastico, e quindi sono promossi in misura significativamente minore, frequentano classi precedenti rispetto alla loro età di uno e più anni con percentuali da capogiro: il 30% nella scuola primaria, oltre il 50% nella scuola secondaria di primo grado, oltre il 70% nella scuola secondaria di secondo grado, con quel che comporta una simile situazione in termini di ulteriore ritardi, dispersione, abbandono e non conclusione dei corsi di studi. Chi sta perdendo oggi nella scuola italiana ? Chi sta “indietro” ? Chi deve temere di rimanere indietro con i programmi di vita? Eppure gli alunni CNI saranno in gran parte adulti italiani, molti con cittadinanza italiana, ma avranno avuto percorsi scolastici assai tribolati e forse anche avranno raggiunto competenze assai incerte, con ricadute certamente non positive sul sistema-paese.

Si risponde allora che le classi separate sono anche per il bene degli alunni CNI, che occorre fargli imparare l’italiano prima di inserirli nelle classi comuni. Però, se appena possiamo, noi mandiamo i nostri figli all’estero per imparare l’inglese, per metterli in situazione di immersione linguistica e, nella scuola superiore, cerchiamo di farli partecipare a progetti che prevedono il loro inserimento per un anno in classi americane o inglesi anche se i primi tempi per molti ragazzi sono durissimi…. Qui da noi il luogo per eccellenza dell’immersione linguistica è per molti bambini e ragazzi CNI proprio la classe quando, spesso, fuori della scuola vivono già “separati” (alunni a scuola, stranieri in città, era il titolo di una bella ricerca di qualche anno fa). Non mi pare dunque ideologia sostenere che l’immersione nelle classi comuni aiuti l’apprendimento meglio e di più di qualsiasi separazione. Certo occorre prevedere per i non italofoni ore settimanali di specifici laboratori linguistici in orario scolastico, doposcuola, corsi brevi intensivi prima e a cavallo dell’avvio dell’anno scolastico, corsi estivi. Tutte cose che già si fanno con buoni esiti – non siamo all’anno zero, tutt’altro - ma occorrono risorse stabili, continuative, su cui poter contare. Esattamente ciò che manca: la certezza che dispositivi funzionanti siano permanenti. E qui la responsabilità dei governi e dei ministeri, presenti e passati, è grandissima. Hanno demandato e demandano alle scuole, all’autonomia delle scuole le quali si appellano agli enti locali ricevendo risposte discontinue e variabili. Ma ora si parla di classi separate. Mi pare che necessariamente esse debbano comportare aumento dell’organico di istituto e l’istituzione di insegnanti facilitatori di L2 (per altro formati in numero non rilevante in questi anni anche dalle Università). Allora alcune proposte al ministro, al governo e agli amministratori locali. Assegnate alle scuole gli insegnanti facilitatori e lasciate alla loro autonomia decidere se istituire classi-ponte oppure laboratori e corsi a integrazione della partecipazione alle classi comuni. Insomma rendete certe e stabili le risorse economiche e professionali, monitorate le scelte e gli esiti, avremo elementi per poter dire che cosa funziona meglio. Sarà anche bene distinguere quali siano i dispositivi più adeguati nei diversi gradi scolastici, differenziando fra primo ciclo e secondo ciclo dell’istruzione. Raccogliete le numerose e buone esperienze già realizzate in tutto il paese e cercate di trarne modelli applicabili e ripetibili; ci accorgeremo che le classi “separate” sono rare, spesso impraticabili per ragioni di fatto, altre volte, quando esistono, sono la conseguenza non di scelte mirate all’apprendimento dell’italiano ma di una pluralità di fattori sui quali incide anche una difficoltà progettuale della scuola e del territorio. Non sfuggite dal prendere nota delle considerazioni che arrivano dalle ricerche condotte in Europa (ad es, Eurydice) anche quando non rientrano del tutto nei propri schemi mentali. Non ignorate, e non nascondete, che ci possono essere anche interessi economici che spingono verso classi separate e didattiche speciali, interessi a trovare un nuovo ambito in cui produrre editoria, piazzare personale magari sommariamente preparato attraverso forme di esternalizzazione …

Intervenite infine sulle situazioni in cui si profilano scuole polarizzate, con grande presenza di alunni CNI e flussi in uscita di alunni italiani. Hanno bisogno di stabilità e motivazione del personale docente (magari riproponendo la chiamata nominativa insieme a incentivi, superando anche consuetudini e inerzie sindacali); occorrono dirigenti scolastici nominati con scopi precisi da perseguire in tempi ragionevoli, di risorse certe e stabili, di progetti di scuola e di scuola/territorio di media-lunga durata.

Pensiamo all’interesse del nostro Paese: non fate delle classi separate una bandiera ideologica!