LE STORIE. QUI TORINO
"I corsi di italiano? Nel quartiere più multietnico è alto il numero di ragazzi che passano al liceo Maria Teresa Martinengo La Stampa, 16.10.2008 TORINO - «Di classi di inserimento non abbiamo bisogno». Nel popolare quartiere di Porta Palazzo come nel centro nobile della città, l’emendamento della Lega per far transitare gli allievi stranieri in «classi ponte» non trova consenso. Anzi, da professori e dirigenti scolastici di scuola media inferiore - il segmento tuttora più toccato dagli arrivi dall’estero - emerge un’immagine di scuola magari «fai-da-te», ma sicura di sé e degli strumenti che da lunghi anni sa mettere in campo. «Noi accogliamo tutti i ragazzi stranieri. Tutti quelli che altre scuole non accettano. E lo facciamo in ogni periodo dell’anno. Magari ci stringiamo, facciamo classi da 26, ma non lasciamo andare via nessuno». Alla media «Croce-Morelli», la più vicina a Porta Palazzo, quest’anno il 60% degli allievi è di origine non italiana. E il preside Onofrio Di Giovanni non ha dubbi sulla bontà dei sistemi messi in campo per insegnare anche a chi è arrivato da poco. «Basta dire che nel 2007-2008 su 300 allievi che hanno preso la licenza, 56 si sono iscritti ai licei, 71 agli istituti tecnici, un centinaio ai professionali e solo una trentina alla formazione professionale». Il professor Marcello Fiorenza spiega che «oggi i ragazzi appena arrivati dall’estero sono diventati una minoranza, ma per loro abbiamo corsi intensivi di italiano di 8-10 ore settimanali». La professoressa di Lettere Livia Labbignan insegna in classi dove i ragazzi italiani sono un quarto del totale: «Con chi è qui da poco facciamo un lavoro differenziato in base alle conoscenze linguistiche. Abbiamo messo a punto materiali di livello diverso, dal “pronto intervento” per i cinesi che devono famigliarizzare con “penna” e “banco”, fino agli stadi più avanzati». Anche chi arriva ad anno iniziato finisce nei corsi «full immersion» che accolgono al massimo 4 allievi e nei corsi di teatro di Gigi Rondana che è professore di religione cattolica ma coinvolge anche i musulmani in spettacoli su Don Bosco. «Tutti sono inseriti nelle classi e nessun italiano - sottolinea il preside - patisce per questo. Per i più bravi, italiani e stranieri, abbiamo progetti che curano l’eccellenza: corsi di approfondimento in matematica, inglese, latino». Alla scuola «Meucci» di via Ottavio Revel, la zona degli studi legali per eccellenza, la prospettiva cambia. «All’inizio dell’anno, con il consenso dei genitori - spiega il preside Gianni La Rosa - ai ragazzi stranieri facciamo un test di lingua italiana e se verifichiamo necessità, dopo averli inseriti nella classe adeguata per età, li iscriviamo ai corsi intensivi di alfabetizzazione pomeridiani, suddivisi in cinque livelli. Questi corsi si fanno grazie ai fondi messi a disposizione da Comune, Regione e stato». Anche alla Meucci sono stati preparati materiali «semplificati» per avviare i ragazzi a padroneggiare i linguaggi delle diverse discipline. «Per una buona integrazione è fondamentale coltivare le capacità congnitive: la mancanza di integrazione nasce da difficoltà nell’apprendimento». Alla Meucci, comunque, in ogni classe non si inseriscono più di 3-4 stranieri. «Forse siamo fortunati, la nostra utenza coincide con questi parametri», spiega il preside. «Questa è l’integrazione che funziona. E funziona facendo, in parallelo, un lavoro approfondito di educazione all’intercultura in tutte le classi, aderendo a progetti di cooperazione. Tutto questo ha permesso alla scuola di formarsi una forte identità. Le classi differenziali non devono esistere». Negli anni scorsi il preside La Rosa aveva mandato a esaurimento una succursale che, al suo arrivo, aveva trovato popolata di soli stranieri e di casi sociali italiani. «L’ultima classe l’ho inserita in un’altra sede. Gli allievi sono stati contenti e abbiamo voltato pagina».
Fuori dalla scuola le madri e gli allievi
concordano con il dirigente. «Abbiamo diversi ragazzi di origine
straniera in classe, ma non c’è nessuna differenza con noi», dice
Cecilia. E Lucia: «Una compagna è arrivata in Italia da poco e non
capisce sempre tutto, ma non importa. Preferiamo aspettarla, di
tanto in tanto, piuttosto che non avere ragazzi di altri paesi in
classe». |