CON LA CRISI RINASCE UN MITO DEL '68

Gli studenti ci riprovano con gli operai

Andrea Rossi, La Stampa, 7.11.2008

TORINO
Abbiamo appena strappato un fondo sanitario integrativo. Io sono delegato sindacale: voglio leggere le carte, voglio capire, per poi spiegarlo per bene agli altri. Ma sono un operaio. Non ho studiato, ci vorrebbe un aiuto». Gianni Iannetti, 43 anni, delegato sindacale; il «consulente» si chiama Enrico e studia Medicina all’Università. Si parla di sanità. Gianni chiede; Enrico si prende un attimo e risponde.

No, non sembra davvero il ’68, la lotta studentesca che si salda al movimento operaio in nome di un’ideologia. Questo gruppo che si raduna sotto la pioggia somiglia più all’incontro di grumi di malessere, dove il comune denominatore si porta appresso parole come crisi, recessione, tagli, incertezza.

Studenti e operai si incrociano alle due di un pomeriggio scuro, porta venti di Mirafiori. Torino, Fiat Powertrain: gli operai del primo turno escono, dentro quelli del secondo. Li aspettano una ventina di universitari e un volantino. Prove tecniche di saldatura.

Oggi si replica: alla controinaugurazione dell’anno accademico del Politecnico partecipano delegati sindacali, operai di aziende in crisi. Si parla del futuro dell’Università che arranca, e del presente di migliaia di lavoratori, che si chiama cassa integrazione, mobilità, aziende in crisi. «Non vogliamo pagare la loro crisi»: il titolo del volantino è una dichiarazione d’intenti. «Noi universitari non ci stiamo: non si può penalizzare l’istruzione in un momento così drammatico, là dove si dovrebbe invece investire in sapere e conoscenza», attacca Paola, studentessa a Scienze Politiche. Gianni Iannetti approva: «Nemmeno noi operai la vogliamo pagare. Arrivare alla fine del mese è sempre più dura, sono anni che sulle nostre spalle pesa il carovita».

Non è il sodalizio degli «ultimi», ma poco ci manca. Certo è che studenti e operai si sentono così. E allora provano a compattarsi per superare insieme l’ostacolo. Funziona? Sì e no. Giuseppe Acciardi esce quasi di corsa. Afferra il volantino ma non si ferma. «Qui abbiamo tutti qualche problema: noi, questi ragazzi. Ma non li risolviamo mischiandoli. Ognuno fa storia a sé». Paola, studente, scuote la testa. «La precarietà sui luoghi di lavoro, le aziende in crisi, il precariato tra i giovani riguardano tutti. Oggi tocca voi, ma domani ci saremo noi al vostro posto. Ecco perché questa lotta è di tutti».

Chi si ferma racconta di un movimento che sta lievitando. «In fabbrica si comincia a parlare di scuola, non succedeva da anni», dice Giovanni Aloisio. «Alcuni colleghi raccontano dei loro figli, delle occupazioni e di una preoccupazione che dai ragazzi è strisciata fino ai genitori». La scuola in fabbrica e la fabbrica a scuola. Il timore per un presente da lavoratori e da padri; l’ignoto che afferra i figli che un domani saranno lavoratori, ma oggi guardano impauriti la loro università, sperano che i genitori non perdano il lavoro e possano ancora pagare gli studi. Qui, a Mirafiori, padri e figli si ritrovano. Un patto tra generazioni. Non durerà un pomeriggio, giurano. Si comincia ora, si prosegue insieme.

«È andata bene», dicono alla fine, quando il via vai ai cancelli s’interrompe. «Torneremo. Insieme», assicura l’operaio Gianni. Ma l’universitario Ivano non sembra convinto. «Non siamo riusciti a rompere il muro. Siamo ancora noi e voi, mondi distinti». Si vede che hanno paura di non essere capiti a fondo. Sentono, o temono, un’innata diffidenza. «Lavorano dalle sei del mattino, magari pensano che noi ci siamo svegliati a mezzogiorno per venire qui a distribuire un volantino», insiste Ivano. «Forse ci considerano privilegiati».

Alla fine sono gli operai a guidare, e pilotare, la saldatura tra i due mondi. «La prossima volta ci sarà un manifesto comune. E al prossimo sciopero generale, a Roma o a Torino, andremo sotto le stesse insegne».