appello Non affamate l'Università Ivano Bertini* ItaliaOggi, 19.11.2008 Dal mio osservatorio di «barone» delle scienza chimiche leggo con interesse gli articoli sulla riforma universitaria. Spesso l'analisi è interessante ma è il rimedio che manca. Mi provo anch'io in questo esercizio, incominciando dai mali che vedo e che sono tipici del paese piuttosto che dell'Università. Si dice che l'arruolamento dei ricercatori si dovrà fare fra candidati di sedi diverse da quella che assume. Mi chiedo chi sia disposto a cambiare sede per 1000 al mese per provare a fare ricerca senza strumentazione, senza fondi, senza postazione di lavoro. Mi pare evidente che questa non è la soluzione. Personalmente, non sono mai riuscito a far fare domande a uno straniero bravo per un concorso di ricercatore, da noi. Le facoltà italiane sono costituite in grande prevalenza da docenti locali; per fortuna, spesso, sono bravi. Riguardo al meccanismo dei concorsi: la presenza del membro interno è una spinta a far risultare vincitore il candidato locale. E' mai venuto in mente a nessuno che è per lo meno curioso che il candidato locale sia “sempre” il migliore? Comunque, spesso, è bravo. Infine, vorrei commentare come nascono i nuovi posti. Una facoltà di 300-500 persone decide i nuovi posti. E' chiaro come non ci possano essere né managerialità né lungimiranza nella scelta dei nuovi posti: se i botanici, per esempio, sono forti in facoltà, un nuovo posto sarà probabilmente di botanica. Magari, il nuovo botanico è bravo. Che cosa si può fare allora? La soluzione non è semplice.
Come ho scritto su Nature ad Aprile, credo
fermamente che 2 siano gli inizi di soluzione:
La valutazione è fatta, all'estero, da
decenni, ma i politici italiani non ci credono (eccetto la Moratti).
La corsa all'eccellenza è di per sé moralizzatrice e noi uomini di
scienza già ci basiamo su parametri internazionali in questa
direzione. Però è difficile essere eccellenti senza investimenti
nella ricerca: si razionalizzi pure, ma si investa quanto le altre
nazioni: l'asino che dovette imparare a vivere senza mangiare, morì!
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