IL REPORTAGE "Noi, poveri laureati in benessere dei cani" Esami duri a Bari: «Ma questo è un titolo inutile» Giuseppe Salvaggiulo, La Stampa, 9.11.2008
INVIATO A BARI Il corso di laurea più strano d’Italia è nato quattro anni fa in questo ufficio. E a partorirlo furono proprio Buonavoglia, Crescenzo e Tempesta. «Notti intere a preparare il piano didattico». Montagne di carte da sottoporre al ministero. «Che gioia quando da Roma arrivò l’approvazione definitiva. Ci chiamavano dalle altre università: bravi, ottima idea, colma un vuoto culturale. Chi l’avrebbe detto che sarebbe diventata l’emblema delle lauree inutili?». Corso triennale senza specializzazione («Siamo un 3+0», ironizzano gli studenti), ventisette esami tosti (da chimica e fisica ad anatomia e patologia generale), piano di studi mutuato da veterinaria senza la parte chirurgica: ma a che serve una laurea in igiene e benessere di cani e gatti? «Eccome se serve - il preside non si scompone -. Oggi chiunque, operaio, giornalista, idraulico può aprire un canile o un negozio di animali e può assistere un veterinario. Senza sapere come si comporta un cane, di quanto spazio ha bisogno, come e cosa deve mangiare, quando bere, che la febbre non si misura mettendo il termometro sotto le ascelle. E poi ci sono persone a cui fa piacere imparare per cultura personale, per hobby. Invece di leggere l’enciclopedia, vengono qui». Di certo, «il cane-e-gatto» come lo chiamano qui non è un corso fantasma. Basta girare tra le aule per accorgersene. Lezioni - sia teoriche che laboratori con gli animali - molto seguite anche se la frequenza non è obbligatoria. Ogni anno 30-35 immatricolazioni (il limite minimo imposto dal ministero è 15). Atmosfera inconsueta per un’università: docenti appassionati e disponibili (molti sono giovani), cani che zampettano nei corridoi accarezzati dai ragazzi. In tutto una novantina di iscritti pugliesi, lucani e campani. Certo, qualcuno ci arriva dopo la bocciatura al test di ammissione a veterinaria, in «parcheggio» in attesa di riprovarci l’anno dopo. Ma non è questo il problema. «Il problema è che non sappiamo cosa diventeremo, che faremo da grandi - sgrana gli occhi Rita, terzo anno - l’ho chiesto ai professori ma non sanno rispondere. Non lo sa nessuno». Ma come, non diventate infermieri veterinari? E Francesco: «Così dicono, in realtà questa figura in Italia non esiste. Non c’è un albo, non c’è lavoro, niente». Gabriele è al secondo anno ma si sta portando avanti: «Faccio il dog sitter, almeno campo. I veterinari non ci vogliono, non sono obbligati ad avere un assistente laureato». «In effetti questo è un problema. Anche i denti può pulirli chiunque - sospira il preside - ma una legge stabilisce che serve un professionista. Ecco, servirebbe una legge anche per l’infermiere veterinario. Noi ci speriamo». Ma di speranza, negli sguardi e nelle parole degli studenti all’uscita dai laboratori, se ne trova poca. Sono entusiasti della didattica e atterriti dal futuro. «Noi siamo studenti di serie B e questa è una laurea in via di sviluppo, come il terzo mondo», dice ruvido Gabriele. Del resto l’esperienza dei primi laureati non è incoraggiante. «Una mia amica lavora con un veterinario per 300 euro al mese», racconta Rita. Marco era arrivato da Castellammare di Stabia pieno di speranze. Ora è un dottore disoccupato e mette annunci su Internet come addestratore di bulldog: «Ho speso 15 mila euro per laurearmi, se aprivo un bar stavo meglio».
Il preside in trincea non nega le difficoltà ma resiste: «È vero, i
laureati sono abbandonati a se stessi. Ma il 90% delle facoltà non
garantisce un lavoro. I laureati di lettere stanno meglio? No.
Allora sarebbe da matti farci chiudere il corso. Rispettiamo tutti i
parametri di legge. Sprechi? I docenti sono gli stessi di
veterinaria, a costo zero. Certo, ripensandoci avrei scelto un altro
nome senza “benessere”. Ma se vogliono si può cambiare, non c’è
problema». A sera, davanti a un caffè in un bar del centro, c’è
Ilaria, iscritta al secondo anno. Ecco, lei non ha perso la
speranza. «Io mi trovo benissimo, chiudere questo corso è una
cavolata». E il lavoro, il futuro? «Il posto per noi c’è. Basta
togliere gli incompetenti». |