Scuola, la «grande assente»
della campagna elettorale.
di Marina Boscaino da
l'Unità
del 26.3.2008
Ogni campagna elettorale ha dedicato alla scuola
uno spazio particolare, per lo più disattendendo le promesse ad
elezioni avvenute. Lo strano tempo che stiamo vivendo vede la scuola
relegata ai margini dell’impegno che partiti e coalizioni profondono
per farsi preferire. La scuola non rappresenta più un tema
allettante per l’elettorato? La prova ulteriore di una deriva che
pare ormai inarrestabile. Il capitolo dedicato all’istruzione non
figura ai primi posti in nessuno dei programmi elettorali, tranne in
quello del Partito Socialista e della Lega, per motivi opposti.
Che ne sarà della scuola? Il rischio è enorme: se si leggono le
parti dedicate all’istruzione nei singoli programmi elettorali si
riconoscono proiezioni di un’idea di società, alcune delle quali
proprio non ci piacciono. E si rinnova - attraverso quelle
dichiarazioni - l’immagine delle coalizioni che le hanno elaborate,
le loro parole d’ordine, le loro vocazioni: la modernità, la
tradizione, i localismi, la laicità, il merito. I punti
programmatici, che in molti casi risultano approssimativi quando non
velleitari, marcano spesso una distanza evidente tra i reali
problemi della scuola e il panorama che da quei concetti si evince,
più orientato al "mercato" elettorale che ad un’analisi e a una
proposta concreta rispetto alle molte criticità. Il grande
spartiacque sembra quello tra pubblico e privato, che però non vede
un’omogenea riproduzione di posizioni parlamentari che fino a poco
tempo fa sarebbero state, almeno considerando le culture di
appartenenza, scontate. Sul tema pubblico/privato si gioca
l’intersezione tra Partito Democratico, Partito delle Libertà, UDC e
Lega, con la Sinistra L’Arcobaleno e lo Sdi che - soli - difendono
l’idea di una scuola pubblica e laica, di un sistema in cui le
scuole private siano libere, ma senza oneri a carico dello Stato.
Come peraltro da dettato costituzionale.
Il Pdl dedica 4 righe alla scuola, "quarta missione" del programma
(e solo la denominazione fa presagire foschi scenari). La prima non
lascia (ahimé) spazio all’immaginazione: "ripresa nella scuola, per
gli alunni e per gli insegnanti, delle "3 i": inglese, impresa,
informatica". Pochi giri di "cacciavite" al contrario, ed ecco la
legge 53 (la cosiddetta Riforma Moratti) pronta per seppellire
definitivamente la scuola italiana. Al secondo punto la concessione
alla Lega, con una chiusa che rappresenta una vera e propria
contraddizione in termini: "difesa del nostro patrimonio
linguistico, delle nostre tradizioni e delle nostre culture anche
per favorire l’integrazione degli stranieri". Segue una
trionfalistica rivendicazione di costituzionalità inedita,
inopportuna dal momento che la suddetta legge divaricava i destini
dei singoli studenti attraverso la scelta precoce tra scuola e
lavoro in terza media, concretizzando sin da quell’età una selezione
su base socio-culturale: "attuazione per la prima volta in Italia
del disposto dell’articolo 34 della Costituzione: "I capaci e
meritevoli anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i
gradi più alti degli studi""; infine "commisurazione degli aumenti
retributivi a criteri meritocratici con riconoscimenti agli
insegnanti più preparati e più impegnati", lasciando nella più
totale vaghezza il senso dell’aggettivo meritocratico, della
preparazione e dell’impegno. Ricordiamo che il centro destra aveva
in mente la chiamata diretta degli insegnanti da parte dei presidi.
PD, alcuni punti significativi: "assicurare il successo educativo a
tutti i ragazzi fino ai sedici anni; portare al diploma almeno l’85%
dei nostri ragazzi, e comunque fare sì che nessuno lasci i percorsi
di istruzione senza una qualificazione spendibile sul mercato del
lavoro". Sarebbe stata auspicabile una definizione più precisa,
considerando l’ambiguità che l’innalzamento dell’obbligo di
istruzione (e non scolastico) ha generato. Proseguire poi "l’azione
per ridare peso e valore, accanto ai licei, agli istituti tecnici e
professionali di stato, in un sistema nazionale, articolato sul
territorio, di istruzione tecnica, anche di livello superiore": la
dimensione nazionale dell’istruzione tecnica e professionale e il
suo potenziamento per restituirle la stessa dignità dei licei sono
un obiettivo fondamentale nella riorganizzazione ordinamentale della
scuola italiana; equivalgono a far uscire dal ghetto circa un
milione e mezzo di studenti. Autonomia: pericolosi riferimenti alle
"capacità manageriali" dei dirigenti scolastici e cenni ad un
percorso di carattere "marketing oriented" (la scelta dei genitori),
che ha caratterizzato la lettura deviata di questa importante
opportunità della scuola. Maggiore rilievo alle discipline
scientifiche, d’accordo: ma non per seguire le prescrizioni
derivanti dai dati Ocse Pisa, che ogni anno ci mitragliano con
numeri sempre più deprimenti, relativi alle presunte scarse
competenze degli studenti italiani.
Ma perché le nuove esigenze culturali del mondo lo impongono.
"Scuole belle ed aperte (anche ai nonni)" è il titolo di un punto:
in cui si incrocia la dimensione della scuola come spazio
architettonico, come spazio della socialità e della cultura
disponibile per tutto il giorno, di punto di riferimento tra le
differenti generazioni e il territorio e l’accorpamento di cicli e
indirizzi formativi diversi in "campus della scuola dell’obbligo".
Una proposta suggestiva (a parte l’ovvio riferimento al modello
americano), ma di difficile realizzazione e soprattutto non
prioritaria (esclusa la fondamentale questione del piano del
Programma nazionale per l’edilizia scolastica) rispetto alle
effettive emergenze della scuola. Ultimo punto, che il PD condivide
con l’Udc: l’importanza dell’educazione motoria. Troppe omissioni su
nodi cruciali sui quali una compagine governativa dovrebbe
riflettere in maniera concreta. E la dimenticanza di alcuni
aggettivi - laica e pubblica, soprattutto - che sarebbe stato bello
vedere affiancati al concetto di scuola.
La Sinistra L’Arcobaleno articola il programma sulla scuola su punti
precisi, concreti e fortemente aderenti alla condizione della scuola
così com’è: probabilmente l’ascolto di associazioni, mondo della
scuola, studenti, ha dato i suoi frutti. Si segnalano, tra gli
altri, la revisione del biennio superiore nella realizzazione
dell’obbligo a 16 anni nella scuola; un investimento per il sistema
di istruzione pari ad almeno il 6% del PIL; la generalizzazione
della scuola dell’infanzia; l’eliminazione del precariato esistente
nella scuola, sia tra gli insegnati sia tra il personale non
docente; il Piano nazionale dell’edilizia scolastica; la prima
formazione e la formazione degli insegnanti legata al reclutamento.
Articolatissimo il programma della Lega Nord, tutto puntato - oltre
che sulla celebrazione della legge Moratti - su devolution, primato
della famiglia e scuola padana, potenziamento della parità
scolastica, centralità della cultura locale: "solo quando tutte le
competenze in campo scolastico passeranno dallo Stato alle Regioni,
finalmente la scuola diverrà espressione del proprio territorio con
programmi didattici differenziati e con proprio personale
insegnante". Inutile qualsiasi commento.
Ciò che accomuna tutti i partiti e le coalizioni, compresa l’Italia
dei Valori, è l’attenzione per l’inglese e le tecnologie (sempre
"nuove", nonostante lo scorrere del tempo): l’augurio è che a tale
centralità seguano una cultura e modalità differenti di introduzione
delle tecnologie della comunicazione nella didattica.
Il programma dell’Unione del 2006 dedicava alla scuola 17 pagine:
molte delle proposte non sono state attuate, forse anche per il
precoce scioglimento delle Camere. Nel febbraio del 2007, dopo la
crisi di Governo, la scuola occupava la seconda posizione del nuovo
programma. Speriamo che - qualora l’Italia non finisca nelle mani di
Berlusconi - ci si renda conto che i problemi della scuola italiana
sono enormi. E che un’operazione di puro re-styling - ispirata a
suggestioni allettanti ma di difficile realizzazione e talvolta non
aderenti al mandato costituzionale della scuola - è improponibile se
non si mette mano a questioni scottanti.