Il programma del Pd sugli atenei è troppo simile a quello di una Destra,
che ha già rovinato il Paese col suo impietoso mercantilismo privatistico,
fatto di precarietà e di liberismo

Università, tutti gli errori
commessi dai riformisti.

Fulvio Tessitore, la Repubblica 22.3.2008

 

Chiusura in una ristretta consorteria di amici, selezionata con criteri troppo generosi e più adatti a formare clientele che figure di autonoma dignità professionale. Orbene, una occasione assai importante per discutere di ciò è data dalle elezioni per la formazione del nuovo governo e va affrontata in particolare con attenzione per i programmi di un partito come il Pd, che dichiara di essere una forza nuova, un nuovo rinnovamento. Non a caso uno dei tanti slogans, di cui è invaghito il segretario Walter Veltroni, è «non cambiate governo, cambiate l'Italia».

Bellissimo. Benissimo. Che cosa di più espressivo per dire della volontà di cambiare classe dirigente e specie a Napoli? Qui, in particolare, se è vero come è vero che l'argomento sta molto a cuore all'onorevole Veltroni e ai suoi consiglieri, che hanno composto le liste elettorali. E poco conta se la risoluzione del problema sembra debba essere affidato ad alcuni ectoplasmi di importazione ed altri di produzione locale. L'importante è che il problema sia posto.

Da dove partire per risolverlo? La risposta è d'obbligo, dalla scuola, dall'università, dagli enti di ricerca. Per altro non è dubbio che a Napoli scuola, università, enti di ricerca sono ormai le sole e più incidenti realtà organizzate e produttive, non ancora inquinate dalla chiacchierologia e dalla malapolitica (anche se non mancano tentazioni in proposito, sulle quali bisognerà vigilare). Per di più a Napoli e in Campania le Università e gli enti di ricerca possono costituire un vero modello di sviluppo e di esportazione, per le competenze che contengono (anche se per lo più ignorate e sconosciute) e per la loro stessa configurazione sociale e civile. Siffatto sistema è in condizione di fornire veri luoghi di elaborazione critica, che possono e debbono svolgere una funzione determinante per la formazione dei giovani, in grado di colmare un vuoto. Ed allora guardiamo da vicino il programma del Pd. Purtroppo la lettura della paginetta e mezzo dedicata all'Università delude e molto, perché è una disorganica enunciazione di luoghi comuni.

Per fortuna non si riprende quell'autentica sciocchezza che è l'abolizione del valore legale del titolo di studio, affermata come risolutrice di tutti i mali da alcuni autorevoli inesperti, enfatizzati dal potere mediatico. Abolire il valore legale, lasciando immodificato il sistema degli ordini professionali, significa solo togliere ai cittadini un elemento di garanzia. Piuttosto ciò che va fatto è rendere ben più rigorosi gli esami di Stato per conseguire l'abilitazione alle professioni. Orbene, se è una benemerenza non ripetere questa stupidaggine, ciò che segue nel programma del Pd è solo l'enunciazione degli effetti distorcenti dell'abolizione del valore legale. Infatti se è giusto affidare la modernizzazione delle Università alla rivalutazione e riqualificazione dell'autonomia, bisogna aver chiaro che cosa significa autonomia, la quale, nel 1994, venne riconosciuta surrettiziamente alle Università solo per ragioni finanziarie.

Allora, abolendo gli organici nazionali dei vari ruoli universitari, si soppressero 1000 posti liberi in organico e si risparmiarono 10mila miliardi delle vecchie lire. Non fu chiarito, però, che l'autonomia non significa la "libertà di fare ciò che non è proibito dalla legge", perché è un concetto positivo, che comprende le regole di funzionamento dentro le quali si esercita la libertà di ognuno. In sostanza non si chiarì se si voleva realizzare l'autonomia del sistema (il complesso degli atenei) o l'autonomia delle parti del sistema (ossia le singole sedi), con la conseguenza che il sistema universitario è diventato una specie di abito di Arlecchino. E la mancanza della valutazione è una carenza grave del sistema, che deve essere realizzata con rigore assoluto. Ciò viene giustamente affermato dal programma del Pd, il quale però, cedendo alla logica della propaganda, ritiene che «per rompere le chiusure baronali» è necessario che ciascun ateneo sia libero di «assumere i professori ritenuti più adeguati» e poco dopo si specifica che «va perseguita la possibilità di utilizzare il regime privatistico per i docenti così assunti». Non discuto se sia meglio o peggio il regime pubblico o quello privatistico.

Contesto la disorganicità e la non sistematicità della proposta. Perché l'Università non è un corpo estraneo alla società in cui opera e perciò non può che essere regolata utilmente prendendo di qua e di là, come mozziconi di sigari spenti, qualcosa da quello europeo continentale, ignorando la nostra strutturazione sociale e la nostra tradizione culturale. L'autonomia, come libertà di fare tutto ciò che non è proibito dalla legge, applicata al reclutamento dei docenti significa intaccare il sistema nazionale e cioè chiudere ciascuna università nelle proprie mura, così che, per esempio, se un docente di Napoli vuole andare a Bologna che lo richiede, deve ripetere il concorso di accesso e non solo essere valutato in base ai titoli conseguiti in carriera. Ma c'è di peggio. Si rompe definitivamente il criterio della carriera (la cui sottovalutazione è all'origine del declino della nostra università), determinando (anzi accrescendo e rendendo normale) la precarietà della docenza, ignorando che la ricerca vuole stabilità, anche se periodicamente valutata seriamente e severamente. Potrei continuare. Ciò che ancora devo aggiungere è che, in tal modo, si ripristina la cosiddetta riforma Moratti, tanto contestata, giustamente, da Ds e Margherita nella XIV Legislatura. Del resto quella riforma fu sostenuta, a suo tempo, da un gruppo di economisti monetaristi, caratterizzati da una boria spocchiosa, come quella dei provinciali che per essere stati qualche volta in visita a Cambridge o ad Oxford, o a Harvard, lasciano intendere di essere illuminati profeti del nuovo. Miserie, tuttavia pericolose perché hanno ispirato il governo Prodi, che ha praticato per le università e la ricerca una politica devastante, la peggiore dell'Italia repubblicana.

Potrei continuare. Mi fermo, limitandomi ad un'ultima osservazione. Il programma del Pd è, in materia, troppo simile a quello di una Destra, che ha già rovinato il Paese col suo impietoso mercantilismo privatistico, fatto di precarietà e di liberismo. Bisogna opporsi a questa Destra che, purtroppo, può tornare a governare, ma non lo può fare imitandola, pensando così di svuotarla. Il giochetto non ha funzionato e non funziona. Gli oppositori della Destra debbono vigilare e contestare impietosamente anche il Pd e la sua deriva liberistica.