Tornano i bipartigiani. di Maurizio Tiriticco, da ScuolaOggi del 26.3.2008
Siccome a Pasqua ci vogliamo tutti un gran bene, è giusto che il manipolo bipartigiano, anche un po’ più nutrito del solito, torni a farsi sentire e proponga a tutte le forze politiche “un patto per la scuola”. Non ho mai avuto simpatia per le bipartigianerie, perché, al di là della indiscussa buona volontà, non mi sembra che sortino effetti felici per il nostro Sistema nazionale educativo di istruzione e formazione! Sui sette punti da loro elencati è ovvio che l’accordo può essere il più largo possibile! Tanto più se si tratta di generici auspici! E’ certo che tutti i bipartigiani che si rispettino concordano sul fatto che la Pasqua viene dopo il Carnevale e che dopo le piogge di questi giorni tornerà il Sole! Ma è sulle questioni di fondo che i bipartigiani non si pronunciano! Che cosa significa “abbandonare la logica della riforma complessiva per adottare, invece, una logica di promozione delle innovazioni”? Le innovazioni non marciano da sole, in virtù di una generica autonoma iniziativa degli istituti scolastici, se non sono suffragate anche dai necessari quadri di riferimento normativi! Le “norme generali sull’istruzione” sono pur sempre di competenza dello Stato: che siano norme, e non laccioli… questo è il problema! Altra cosa ancora è la questione delle priorità. Ma quali sono quelle effettive, al di là dei sette punti bipartigiani su cui l’accordo è più che ovvio e che il “patto” non cita? Ne cito solo alcune: a) l’obbligo a 16 anni deve espletarsi all’interno del sistema di istruzione al fine di garantire che tutti i cittadini conseguano le necessarie competenze, culturali, trasversali, di cittadinanza, senza sconti di sorta, al fine di un allineamento effettivo a ciò che l’Unione europea chiede ai sistemi di istruzione di base di tutti i Paesi membri (primo livello di uscita da un sistema di istruzione, stando a quanto indicato dal Quadro Europeo delle Qualifiche del 5 settembre 2006); b) è necessario ridiscutere l’intero percorso obbligatorio che va dai 6 ai 16 anni di età, alla luce sia degli effettivi bisogni formativi degli alunni che degli apporti offerti dalla più avanzata ricerca educativa, realizzando un primo ciclo decennale di istruzione verticale, continuo e progressivo, anche rimuovendo gli attuali impedimenti di carattere costituzionale. Occorre giungere in tempi brevi all’abolizione dell’esame di licenza media che, in seguito all’innalzamento dell’obbligo di istruzione, non ha più alcun valore formale né nel nostro Paese né nell’UE. Il primo titolo valido è la certificazione dell’adempimento degli studi obbligatori. Abbiamo atteso più di quarant’anni prima che venisse abolito l’esame di licenza elementare, che dal 1966 non aveva più alcun valore formale; e non possiamo attenderne altrettanti. E’ inoltre opportuno por mano agli attuali due distinti documenti intitolati Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione e Il nuovo obbligo di istruzione per giungere alla stesura di un unico documento propositivo che riguardi l’intero percorso di istruzione obbligatoria; c) occorre adoperarsi perché gli attuali bienni dell’istruzione secondaria, in un riordinato primo ciclo di istruzione, permettano il raggiungimento delle competenze culturali, trasversali e di cittadinanza e, grazie all’organizzazione di attività di orientamento e riorientamento, da effettuarsi anche con gli opportuni passaggi ed uno sviluppo modulare dei curricoli, incentivino e sostengano le scelte che lo studente dovrà compiere al termine dell’istruzione obbligatoria. A tal fine, sarebbe opportuno riaprire il discorso avviato con il dm 323/99, decaduto in seguito all’abrogazione della legge 9/99; d) il titolo di studio rilasciato dal Sistema educativo di istruzione a 19 anni di età (quarto livello di uscita da un sistema di istruzione, stando a quanto indicato dal Quadro Europeo delle Qualifiche del 5 settembre 2006) deve certificare le effettive competenze raggiunte dal candidato, come prescritto dall’articolo 6 della legge 425/96 e dall’articolo 1, comma 3, del dpr 323/98, prescrizioni che a tutt’oggi ancora non sono state attuate. Si tratta di un adempimento che renderebbe finalmente “leggibili” i titoli di studio nel nostro Paese ed anche nei Paesi dell’UE. Sarebbe, quindi, opportuno modificare gli attuali modelli di certificazione, i quali, stando al dettato originario di cui al dm 410/98, “hanno carattere sperimentale e si intendono adottati limitatamente agli anni scolastici 98-99 e 99-00”. Costituisce, indubbiamente, un segnale negativo il fatto che l’ultimo dm 8/06, concernente i modelli di certificazione, dichiari che “le disposizioni di cui al presente decreto hanno carattere permanente”. Su altre questioni circolano posizioni e pareri non omogenei, ma un impegno autenticamente bipartigiano dovrebbe aiutarci a ritrovare punti di convergenza. Ne cito alcune. C’è il rischio che una eccessiva enfasi sul riordino e sulla riqualificazione dell’istruzione tecnica e sull’avvio di un’istruzione tecnica superiore rischi di porre all’angolo l’istruzione professionale. Quest’ultima avvierà percorsi hig touch – quale preziosismo linguistico! – che non solo saranno fortemente concorrenziali con la formazione professionale regionale – con la quale per altro occorrerà giungere a patti per il rilascio delle qualifiche – ma daranno anche vita a contenziosi infiniti tra Stato e Regioni. Per non dire della questione del riordino dell’intero sistema dei licei, su cui il silenzio assoluto sembra più eloquente di qualsiasi proposta! Si lascerà tutto com’è? Sembra che la “cultura classica” sia ad aeternum una immarcescibile divinità, incontaminabile da ogni approccio veramente scientifico! C’è poi la questione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche che, pur se legittimata fin dal lontano ’97, poi dal ’99, poi ancora dal 2001, sembra ancora una irraggiungibile chimera! Quando si rimuoveranno gli steccati che ne impediscono un reale avvio? In parallelo si dovrebbero sollecitare forme associative che rappresentino le istituzioni scolastiche in sede di Conferenza Unificata a pari titolo con le altre istanze che già vi sono rappresentate. Non ultima la questione della formazione iniziale dei docenti e, soprattutto, della loro formazione continua. Nella società dei saperi, in continua evoluzione, non c’è professionista che non si sottoponga ad una formazione continua, giorno dopo giorno: una sorta di dovere civile e professionale, ancor prima di qualunque obbligo formale. E’ solo su un terreno di una concreta incentivazione della professione docente che si può ottenere anche dagli insegnanti un impegno collettivo e generalizzato ad una reale riqualificazione continua in servizio! Si tratta di alcune delle questioni che sono all’ordine del giorno e che la nuova Amministrazione non potrà assolutamente non considerare, tanto meno rinviare alle calende greche! Ed è su un terreno di proposte concrete e non di auspici da volemose bene che dovrebbe nascere un reale movimento bipartigiano… anzi, meglio… partigiano! Quest’ultimo è un autentico aggettivo… inclusivo!!!
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