I veri fini della caccia ai "fannulloni".

Paolo Mazzocchini, da DocentINclasse, 30.5.2008

Chi scrive ha sempre lavorato sodo e, credo, anche qualitativamente bene nella scuola superiore da decenni, se la gratitudine e la riconoscenza di molti alunni ed ex alunni significa qualcosa.

Mi meraviglio di me stesso, dunque, nel sentirmi in dovere di scrivere queste righe non certo in difesa dei ‘fannulloni’, ma sicuramente contro quelli che oggigiorno brandiscono questa roboante parola come una minacciosa clava.

Ma contro chi la brandiscono? Ecco il primo punto che non mi convince. Davvero il simpatico gnomo Brunetta - ispirato dal meno simpatico e sospetto (in quanto docente universitario) Ichino – pensa di scovare con le mani nel sacco e punire per direttissima i fannulloni annidati nel pubblico impiego?

Confesso che nel mio ambiente – la scuola - di questi fannulloni se ne vede certamente qualcuno in giro, ma vive da anni impunito, anche perché sa attuare furbescamente delle stategie (sei politico e voti altissimi) che lo proteggono sia dal malcontento degli studenti sia dalle reprimende dei superiori.

Ma il punto è che questi casi sono davvero rari e se anche fossero drasticamente perseguiti la loro rimozione, per quanto giusta e necessaria, non contribuirebbe minimamente a risolvere i gravi problemi della scuola: perché questi problemi, lo sanno tutti, sono strutturali ed organizzativi e dipendono, non di rado, soprattutto da chi la scuola la governa e la organizza, cioè proprio da coloro che dovrebbero invece garantirne la ‘produttività’ formativa e culturale.

Ecco il punto vero e dolente.

Ma se le cose stanno così, perché puntare tanto enfaticamente il dito sul male minore e tacere del maggiore?

La risposta purtroppo non è così ardua. La caccia al fannullone è un diversivo con molteplici secondi fini.

Intanto è un’ottima e demagogica tattica per isolare ancora di più i dipendenti pubblici ed additarli tutti e complessivamente, come facili capri espiatori ed untori di manzoniana memoria, al pubblico disprezzo. Dopo questa facile operazione preliminare, se ne riscuotono (da parte di governo e confindustria) i vantaggi concreti sul piano sindacale: se un sindacato (per caso) difende i diritti del pubblico impiego (per esempio il diritto alla detassazione degli straordinari) vuol dire che difende tout court i fannulloni. Perciò il sindacato (già di per sé poco attivo – e per la scuola addirittura del tutto latitante- nella difesa dei diritti minimi di questa categoria) è costretto giocoforza a chinare la testa, a piegarsi alle nuove regole aziendalistiche e privatistiche secondo cui Brunetta & C. intendono ristrutturare il pubblico impiego.

Queste nuove regole significano essenzialmente che si procederà sempre più a tagli selvaggi e chi rimarrà al lavoro dovrà lavorare in molti casi (è questo che sconcerta) in condizioni proibitive e con risultati molto peggiori di quelli che si ottengono ora (si pensi, nella scuola, al taglio delle cattedre e alla formazione di magaclassi). Non solo: i superstiti non saranno garantiti di fronte a nessuna manovra di sfruttamento nei loro confronti, ma dovranno subirla passivamente se vogliono davvero apparire meritevoli (quale turpe operazione lessicale è questa di barattare il merito vero – fondato sulla qualità e la competenza- con la mera disponibilità a lasciarsi sfruttare e schiavizzare!) e non essere perseguiti come fannulloni.

Questo è il vero obiettivo di questa campagna apparentemente così nobile: ai suoi promotori non interessa veramente la qualità del servizio, ma – come sempre -semplicemente il risparmio. E soprattutto l’asservimento totale del pubblico dipendente.