LA SCUOLA MULTIETNICA
La sociologa "Quando non sanno la lingua Raffaello Masci, La Stampa del 29.5.2008
ROMA
«Dipende da chi sono. Se sono nati qui, o sono venuti in Italia in età prescolare, allora tendono ad integrarsi moltissimo. Potrei dire che sono bambini italiani a tutti gli effetti. Diverso è il caso di quelli che arrivano ad anno scolastico iniziato o che sono più grandi e hanno un vissuto scolastico nel loro Paese. Questo secondo gruppo può dare qualche problema».
«La comunicazione verbale nella scuola è fondamentale. Quando ci si trova di fronte a bambini che hanno difficoltà perché non conoscono bene la lingua, la classe può risentirne».
«Si può anche parlare di tetti, non è un tabù. Ma non certo del 10% come è stato proposto. Su una classe di 20 bambini il tetto sarebbero due alunni? E quando arriva il terzo che facciamo? Dividiamo la scolaresca, moltiplicando così classi, insegnanti e spese? Mi pare impraticabile».
«Il problema si affronta dove c’è. Al Sud, per esempio, è irrilevante o minoritario. E così nei piccoli borghi dell’Italia centrale. La questione è, invece, molto presente al Nord, ma lì si è anche fatto il lavoro più importante. Le scuole, come sistema, hanno ormai elaborato una lunga serie di esperienze sia per l’integrazione, intesa in senso sociale, sia per la didattica».
«Quella che già, in parte, esiste: cioè che le scuole si mettano in rete sul territorio. Si scambiano esperienze, si danno supporto ed, eventualmente, provvedono a distribuire più omogeneamente gli alunni immigrati».
«Quasi sempre sì. Tra le componenti della
scuola - alunni, docenti e famiglie - sono queste ultime ad essere
il segmento più rigido». |