LA SCUOLA MULTIETNICA

"Stranieri a numero chiuso".

Proposta di An a Torino:
troppi problemi, non più del 10 per cento in ogni aula

Maria Teresa MartinengoLa Stampa del 29.5.2008

TORINO
Troppi bambini stranieri nelle classi di certi quartieri. Con le famiglie italiane che cercano lontano da casa scuole meno multietniche, preoccupate che la preparazione dei figli sia rallentata. Il problema - sentito a Torino come nelle altre grandi città - è stato sollevato ieri dall’onorevole Agostino Ghiglia, presidente provinciale di An, e dal capogruppo in consiglio comunale Roberto Ravello, con una mozione di accompagnamento al bilancio che a breve Ghiglia trasformerà in risoluzione parlamentare. An chiede che nelle scuole materne comunali (a Torino accolgono 9 mila bimbi su 20 mila) non si superi il tetto del 10% di alunni stranieri.

«La questione tocca tutto il Paese e per questo porrò il problema anche in Parlamento - dice Ghiglia, padre di due bimbi piccoli -. È evidente che per dare pari opportunità a tutti e non far crescere una generazione di “stranieri in Italia” sia indispensabile limitare il numero dei bambini stranieri in ogni classe. A casa hanno genitori che non parlano l’italiano e che non li possono seguire nei compiti: ecco perché nella mozione torinese chiediamo un docente di sostegno, cioè di aiuto all’integrazione, ogni due allievi stranieri».

Per Ghiglia è necessario prendere decisioni concrete e costose. «Dobbiamo evitare - osserva - il dramma delle banlieue. Siamo criminali, se tagliamo risorse in questo campo. A prescindere dal colore del governo». Ricette? «Dobbiamo distribuire gli stranieri dove non ce ne sono con un servizio di minibus. In alternativa, dobbiamo moltiplicare le scuole nei quartieri a maggiore concentrazione. Si può fare un censimento dei locali comunali o privati non utilizzati». Parallelo, l’incremento dei docenti. «Altrimenti capiterà ancora più spesso ciò che accade oggi: gli italiani lasciano certe scuole e così pure molti stranieri che iscrivono i figli a scuole private. Del resto, se ci sono classi con il 55-60% di ragazzi le cui famiglie non parlano italiano, il timore che la scuola non tenga il passo di una preparazione adeguata: è ovvio».

A Torino l’assessore alle Risorse Educative, Luigi Saragnese, snocciola cifre «difficili da distribuire. Oggi il 22% dei nuovi nati ha almeno un genitore straniero. La presenza di studenti di origine non italiana nella scuola dell’obbligo è del 20%. A Torino si contano solo 7-8 scuole elementari che sono sotto il 10%». Saragnese ha appena incontrato le scuole della Circoscrizione 7, che ha il 34% di studenti non italiani. «Qui abbiamo una scuola dell’infanzia comunale con il 95% di stranieri e un nido con il 64%. È difficile non tenere conto del luogo di residenza delle famiglie. Tra l’altro, una legge degli Anni 80 ha eliminato la “zonizzazione”, il criterio in base al quale ci si doveva iscrivere nella scuola più vicina a casa. Oggi c’è libertà di scelta».

Di fronte al fatto che Ghiglia bacchetti chi non vuole investire, Saragnese sorride. «Il costo degli insegnanti è esorbitante. A Torino, in questo momento di bilanci limitati, cerchiamo il dialogo con il governo per trasferire allo Stato, che ne ha la competenza, una parte delle scuole materne comunali. Costano 66 milioni l’anno. Stipendi soprattutto. Ma il dialogo non decolla». E conclude: «Dobbiamo tenere presente che gran parte dei bambini stranieri parlano italiano benissimo. Semmai hanno gli stessi problemi che avevano negli Anni 70 i bambini del Sud: strumenti culturali della famiglia limitati, difficoltà sociali ed economiche».