Per un nuovo sistema di Paolo Malerba da ReteScuole del 20.5.2008 Riteniamo il sistema pubblico dell’istruzione parte fondamentale per la formazione di una cittadinanza critica e responsabile, e per la formazione della ricchezza del paese. Secondo i dati OCSE l’istruzione pubblica si rivela un investimento: ad ogni anno di istruzione in più corrisponde l’aumento di un punto in percentuale del PIL. Le ricadute dell’istruzione sull’economia sono da considerarsi ancora più importanti per un paese come il nostro povero di materie prime e con una crescita economica al limite della stagnazione. Secondo i dati OCSE-Pisa (Programme for international student assesment), resi pubblici lo scorso dicembre e che valutano le competenze dei nostri studenti quindicenni, tra il 2000 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in lettura è diminuito in misura statisticamente significativa, passando da un punteggio pari a 487 a un punteggio pari a 469, contro una media OCSE pari a 500 nel 2000 e a 492 nel 2006. Tra il 2003 e il 2006 il punteggio medio degli studenti italiani in matematica non è cambiato in misura statisticamente significativa, passando da 466 a 462, contro una media OCSE, però, pari a 500 nel 2003 e a 498 nel 2006. Secondo il rapporto del 2006 in Italia la percentuale dei diplomati fra i 25 e i 34 anni è del 64% contro la media UE del 77%. Di pari passo la spesa per l’istruzione in rapporto al PIL è diminuita notevolmente attestandosi al 4,7% del PIL contro il 5,5% di quindici anni prima. Se negli ultimi anni la spesa per l'istruzione fosse rimasta inalterata le casse delle scuole e delle università italiane, direttamente o indirettamente, avrebbero ricevuto 12 miliardi di euro in più. Tali investimenti si discostano in maniera vistosa dalla media dei 32 paesi Ocse (al 5,2 per cento nel 2003) e da Francia, Danimarca e Finlandia che viaggiano attorno al 6 per cento. I dati del 2006, in relazione al rapporto insegnanti – studenti in Italia, farebbero pensare ad una situazione squilibrata rispetto alla media europea. Nell’istruzione primaria, il rapporto è di 10,7 studenti per ciascun insegnante, il livello più basso tra i paesi OCSE e molto inferiore alla media OCSE che è del 16,9; nell’istruzione secondaria 11 studenti per insegnante contro la media OCSE del 13,3. Questi dati non tengono però conto del peculiare modello scolastico italiano che include tra coloro che hanno diritto all’istruzione anche coloro che sono affetti da disabilità, ritenendo indispensabile l’inclusione di questi, non in scuole differenziali, bensì nella scuola di tutti. Non tengono, inoltre, conto della particolare geomorfologia del territorio italiano che rende indispensabile la dislocazione delle scuole anche in luoghi non facilmente raggiungibili come le piccole isole e le comunità montane.
Ciò è dovuto al fatto che le singole istituzioni scolastiche determinano il fabbisogno di insegnanti per ogni anno scolastico in funzione di formule prestabilite, in rapporto agli studenti che l’anno successivo frequenteranno la scuola. Tale rapporto definisce l’organico di diritto, ovvero il numero di insegnanti di cui la singola istituzione, per diritto, dovrà disporre. Al momento dell’inizio dell’anno scolastico accade che tale numero, di fatto, risulterà del tutto insufficiente per il normale funzionamento delle attività didattiche. Si procederà quindi a determinare il cosiddetto organico di fatto che, invece di basarsi su rapporti matematici, si fonderà sul reale fabbisogno della scuola.
Ecco, a questo punto, entrare in gioco i circa
140.000 precari (numero per difetto) che permetteranno il normale
avvio dell’anno scolastico.
Per superare questo problema occorre riflettere
sull’istituto del reclutamento dei docenti che va ripensato in
termini di organico funzionale parificabile dunque all’organico di
fatto.
Fuori da questo sistema resterebbe un piccolo
numero di precari che nella scuola di domani dovrà rappresentare più
l’eccezione che la regola e come tale dovrà essere retribuita ovvero
il docente precario non dovrà più rappresentare un risparmio di
spesa per lo Stato bensì un aggravio. |