Istruzione. Interessa a qualcuno?

Gianni Gandola, da ScuolaOggi del 19.5.2008

E’ ancora una volta Curzio Maltese, in un corsivo pubblicato sul Venerdì di Repubblica nella rubrica Contromano (“La scuola, vera emergenza dimenticata”), a mettere il dito nella piaga. In poche quanto efficaci righe Maltese, dopo aver ricordato che l’Italia è in fondo alle classifiche dei 27 paesi europei per scolarizzazione, rendimento scolastico e investimenti nella pubblica istruzione, sottolinea il fatto che questo, tutto sommato, non è avvertito come un gran problema. Nell’ultima campagna elettorale l’istruzione non era neppure fra i primi dieci o venti temi di discussione. Non solo, ma non figurava neppure fra i primi problemi segnalati dall’opinione pubblica. Se così fosse, infatti, anche il ceto politico dovrebbe in qualche modo tenerne conto. Eppure, sostiene a ragione Maltese, questa è la prima questione che un serio riformismo dovrebbe porre all’attenzione generale.

Purtroppo questo corrisponde alla realtà. A parole i politici, riformisti e non, indicano la scuola, l’istruzione, fra le priorità. Nei fatti se ne dimenticano, spesso e volentieri. Era successo così anche con il governo Prodi. Proprio a Milano, qualche anno fa, Prodi aveva affermato la centralità dell’istruzione. Non si può dire che questa priorità sia stata al centro degli interventi effettuati in due anni di governo, con Fioroni al ministero della P.I. Né in termini di maggiori investimenti nel settore, né in termini di razionalizzazione dell’esistente (innovazione, riconoscimento delle professionalità, oculata distribuzione delle risorse, ecc.). L’attenzione, semmai, nelle politiche scolastiche degli ultimi governi, è stata rivolta al sistema delle scuole private, che indubbiamente ne hanno tratto dei benefici, piuttosto che allo stato della scuola pubblica nel suo complesso.

Ma probabilmente tutto questo rimanda ad una riflessione più generale. Forse ha ragione chi, come Marilena Adamo, da tempo va sostenendo che si è incrinato il rapporto scuola-società, con il conseguente isolamento della scuola che non è più avvertita dall’opinione pubblica, dalla gente, come un “valore”, come un aspetto fondamentale del vivere civile. Forse è da qui che bisogna ripartire. Se la scuola non è percepita, nell’immaginario collettivo, dai “cittadini”, come una cosa seria, non può partire alcun circolo virtuoso. E perché la scuola sia considerata una cosa seria è necessario elevarne la qualità. Non con scelte ad effetto e di immagine, ma puntando alla sostanza. Cominciando ad esempio ad uscire dall’attuale appiattimento in cui versano gli operatori scolastici, riconoscendo e valorizzando meriti e professionalità (una buona scuola la fanno innanzi tutto buoni insegnanti). Migliorando nei fatti, e non solo a parole e nelle carte, l’offerta formativa. Generalizzando e facendo conoscere le esperienze più avanzate. Intervenendo su strutture sovente obsolete e insufficienti (laboratori, ambienti di apprendimento). Ridando spazio e visibilità alla scuola. Intervenendo, al contempo e a livello culturale più generale, sui mezzi di informazione, a cominciare dai programmi televisivi e dal rapporto media-sistema di istruzione.

I dati dell’Istat – scrive Curzio Maltese – certificano che il sistema scolastico italiano è fallimentare. Da qui allora bisognerebbe partire, da un’analisi seria dei punti di debolezza e di inefficienza. Certo, servono risorse e – soprattutto – volontà politica. Dubitiamo che questo governo abbia a cuore così tanto il destino della scuola pubblica. Almeno stando alle prime scelte compiute, alle nomine ministeriali. Ci auguriamo di sbagliare, nell’interesse del nostro sistema di istruzione e del Paese.