Un bel ginepraio.

di Emanuela Cerutti da Fuoriregistro del 10.5.2008

Il 5 febbraio scorso, l'allora deputato Gelmini presentava alla Presidenza della Camera la proposta di legge d'iniziativa n°. 3423, intitolata «Delega al Governo per la promozione e l'attuazione del merito nella società, nell'economia e nella pubblica amministrazione e istituzione della Direzione di valutazione e monitoraggio del merito presso l'Autorità garante della concorrenza e del mercato». Tale proposta veniva annunziata, stampata e distribuita nella seduta del 19 febbraio.

Non so se, da allora, ci sia stato un seguito di discussione e neppure quanto, ora, l'attuale Ministro Gelmini fonderà la sua proposta per la scuola sulle idee là espresse. Trovo in ogni caso interessante aprire sull'argomento un dibattito che potrebbe diventare proficuo, se non altro in termini di chiarezza previa. Stralcio alcuni pezzi dei primi 2 articoli e mi permetto qualche iniziale opinione.


L'
ART. 1 (Definizione di merito) spiega che "ai fini della presente legge, si intende per merito il conseguimento di risultati individuali o collettivi superiori a quelli mediamente conseguiti nei rispettivi ambiti di attivita`, tenuto conto dei compiti assegnati e delle capacità possedute."

La definizione è molto generale e comporta una tale abbondanza di variabili (gli ambiti di attività, i compiti assegnati, le capacità possedute) da rendere pressochè impossibile una chiara determinazione di cosa sia merito: ma questo per la gente di scuola, abituata a mediare e relativizzare proprio per non cadere nelle trappole dirigiste cui Gelmini fa riferimento, non costituisce sorpresa. La scuola premia già il merito, perchè valuta, e valuta dopo aver analizzato situazioni e individualizzato percorsi. Difficile racchiudere il merito in una regola uguale per tutti: a che scopo?


L'
ART. 2 (Delega al Governo per la valorizzazione del merito nel sistema scolastico e universitario) pare dare una prima risposta: la "valorizzazione del merito", strettamente collegata alla "piena applicazione del principio di autonomia scolastica" passa "attraverso:

1) il rafforzamento dei poteri organizzativi e disciplinari dei dirigenti scolastici e degli organismi di amministrazione che li adiuvano, con compiti di gestione amministrativa e di reclutamento del corpo docente;

2) la promozione di una piena concorrenza tra le istituzioni scolastiche, mediante l'adozione di meccanismi di ripartizione delle risorse pubbliche in proporzione ai risultati formativi rilevati da un organismo terzo tenuto a pubblicare annualmente una classifica regionale delle istituzioni scolastiche fondata su parametri trasparenti e verificabili;

3) il riconoscimento alle famiglie di voucher formativi da spendere nelle scuole pubbliche o private di cui alla legge 10 marzo 2000, n. 62, e successive modificazioni;

4) la detraibilita` delle donazioni effettuate da parte di persone fisiche o imprese alle istituzioni scolastiche".


Il difficile, qui, è cogliere lo spartiacque tra principi e conseguenze: ciò che viene descritto come "metodo" (passare attraverso) potrebbe tranquillamente diventare l'obiettivo finale: premiamo il merito in modo che il potere dirigenziale, ai diversi livelli previsti, aumenti, che famiglie, enti o istituzioni traggano un vantaggio concreto, che la concorrenza tra istituzioni scolastiche ottenga piena promozione.

Vale la pena di ricordare che il regolamento sull'autonomia del lontano '99 poneva come "natura e scopo" del nuovo assetto scolastico la "libertà di insegnamento", il "pluralismo culturale" e la "realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l'esigenza di migliorare l'efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento".
Specchietto per le allodole o no, quanto meno di successo formativo si parlava e non di merito.

Del resto la legge 59 già nel '97 finalizzava l'autonomia organizzativa "alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell'efficienza e dell'efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all'introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale. al perseguimento degli obiettivi generali del sistema nazionale di istruzione, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie e del diritto ad apprendere"
Di nuovo nessuna meritocrazia assurta a principio, ma il tentativo, probabilmente ingenuo, di migliorare le lacune di un sistema da molti giudicato insoddisfacente. Ingenuo perchè, nell'introdurre dentro la scuola variabili che, secondo una certa tradizione sociale, non le competono, trasformare la scuola cosiddetta di massa nella scuola azienda, in cui l'efficienza ha più valore della cura, e il risultato immediato, matematizzabile e freddamente paragonabile, più importanza del lungo processo che il fatto educativo richiede, non significa metterla al passo dei tempi, ma solo del profitto cui, bene o male, parteciperà. E significa anche modificare aspettative, pensieri, valori.