IL CASO

E se bocciassimo il vecchio latino?

Lo studiamo di più, ma i risultati sono scarsi.
"La soluzione? Obbligatorio solo al classico"

Raffaello Masci, La Stampa del 30.5.2008

ROMA
Il latino a scuola? Un mastodontico, inutile sforzo: su un milione di studenti italiani delle superiori che si avvicinano alla lingua dei romani, 400 mila si rifiuta perentoriamente di impararla, tant’è che matura un debito formativo in questa materia per tutti e cinque gli anni.

L’associazione Treellle, presieduta da Attilio Oliva, ha condotto una ricerca sul latino e la sua diffusione nelle scuole d’Occidente, cioè di quella parte di mondo che con questo idioma ha un legame storico e culturale. I numeri che ne emergono sono sconfortanti. Quasi ovunque, in Europa e negli Usa, lo studio delle lingue classiche (latino e greco) è facoltativo alle superiori e, da parte di chi lo desidera, viene poi approfondito all’università. Solo l’1,3% degli studenti americani s’immerge nei testi di Tacito o Virgilio; nella latina Francia sono appena il 3%, contro un 1% che sa di greco. In Gran Bretagna siamo sotto quota 2%, la Germania - che ha una antica tradizione di studi umanistici - resiste con un 5% di studenti delle medie e 8% alle superiori. Obbligatori - ma solo in un indirizzo di studi superiori - il latino e il greco lo sono solo in Austria, Danimarca, Paesi Bassi. Poi ci sono Grecia e Italia.

Nella prima il greco antico lo debbono studiare obbligatoriamente tutti (100%), mentre al latino si dedicano solo il 28%. Da noi il greco riguarda meno del 10% della popolazione studentesca (solo quelli del classico), mentre il latino si estende al 41% degli studenti (licei classico, scientifico, linguistico e psicopedagogico).

Grande patria degli studi classici, quindi? «Per niente - dice Attilio Oliva - perché il carattere di obbligatorietà fa del latino una delle materie meno amate e quella che presenta un primato nei debiti formativi. Chi lo studia per scelta, infatti, come gli americani o gli inglesi, lo studia bene e lo sa. Quel 40% di studenti di latino che convive con un debito formativo in questa materia per tutta la durata degli studi, sta ad indicare che qui da noi esiste una “opzionalità clandestina” di questa materia, obbligatoria solo formalmente, ma di fatto snobbata e rifiutata».

La proposta di Treellle: conservare l’obbligatorietà delle lingue classiche solo in un indirizzo di studi specialistico (come, per esempio, il classico) e proporla come opzione nel pacchetto dell’offerta formativa degli altri indirizzi. «In questo modo – continua Oliva – si sottolineerebbe il carattere specialistico di questa disciplina e si punterebbe a farla poco ma bene». Con il corollario che, negli orari scolastici, si aprirebbe uno spazio aggiuntivo per lo studio delle scienze pure che – si sa perché lo ha rilevato anche l’Ocse – sono il fronte scoperto della nostra scuola: «Perfino nei licei scientifici le materie linguistico-letterarie pesano per il 38%, più delle materie scientifiche che pesano solo per il 31%».

Le lingue classiche sono percepite come un fattore di distinzione sociale. Tra quelli che studiano latino o greco – rileva Treellle - l’80% ha il padre laureato (contro il 20% di chi è agli istituti tecnici o professionali), il 71% proviene da una famiglia di alto livello culturale (29% nel caso di Itis), il 78% ha una biblioteca in casa (contro il 30% degli altri). E così il latino brilla di alta società, anche quando, sostanzialmente, lo si ignora.

«Le lingue morte obbligatorie? Via! - commenta il fisico Carlo Bernardini - sembra un’imposizione immotivata che sarebbe ora di interrompere. Chi ha lavorato con i bambini sa quale ricchezza si nasconda nella loro mente»