Obbligo dove.

di Maurizio Tiriticco, da ScuolaOggi del 21.7.2008

Su “Insegnare” del settembre 2006, molto prima del varo dei commi 622 e 624 della legge finanziaria 2007 e dello stesso dm 139/07 (Regolamento relativo all’obbligo di istruzione), in un articolo intitolato L’innalzamento dell’obbligo di istruzione, una sfida non facile, scrivevo tra l’altro:
“Non bisogna avere alcun timore di coinvolgere nella operazione di innalzamento dell’obbligo tutte quelle istanze che sul territorio possono contribuire al successo dell’operazione. Il Titolo V individua aree di competenza e di intervento sia per lo Stato che per le Regioni. Com’è noto, la Moratti ha interpretato volutamente questa indicazione di semplici attribuzioni di competenze come una sollecitazione a spaccare in due un sistema unitario e a dar vita a due percorsi, uno privilegiato e uno di secondo ordine. Dobbiamo ricondurre a unità il sistema e far sì che le due tipologie di offerta vengano recepite e utilizzate al meglio.

“In altre parole, non è assolutamente detto che gli istituti di istruzione, pur sempre titolari dei percorsi dell’obbligo, non possano avvalersi del contributo qualificato anche di quegli istituti della formazione professionale regionale, qualora siano debitamente certificati e dotati delle risorse necessarie a rispondere alle esigenze primarie dell’istruzione. D’altra parte, ogni valenza educativa presente sul territorio non potrà non essere coinvolta in una operazione i cui fini culturali e sociali vanno ben al di là delle finalità degli attuali bienni. E ciò dovrà effettuarsi solo alla precisa condizione che la titolarità, in termini di programmazione e gestione dei percorsi, sia – e non potrebbe non essere – dell’istruzione.

“Sarebbe assolutamente miope ritenere che l’attuale organizzazione didattica dei bienni possa garantire ai nostri giovani obiettivi culturali certi e forti nonché un ampio ventaglio di opzioni orientative. Certamente, va anche considerato che le finalità su cui si è mossa fino ad oggi la formazione professionale sono ben diverse da quelle perseguite dall’istruzione. Ma è pur vero che questa dicotomia, che viene da lontano e che non è imputabile solo alla Moratti, dovrà in qualche modo essere liquidata. Indubbiamente, si sta aprendo uno scenario forse nuovo per il nostro Paese, che per certi versi è già collaudato in altri Paesi ad alto sviluppo. Ed abbiamo anche il conforto teorico: non c’è ricerca socio-educativa che non sostenga che oggi, ed ancor più domani, le operazioni manuali e quelle intellettuali devono procedere contestualmente e che la separazione tra la mano e la mente, tra la formazione e l’istruzione, non ha più senso in una società che sta rapidamente cambiando e che è sempre più “avida” di sapere e di saper fare insieme.

“Va anche sottolineato che ogni contributo è importante, soprattutto per tutte quelle attività laboratoriali e modulari che si dovranno attivare, a condizione, però, che si tengano ben ferme le competenze che i nostri sedicenni devono acquisire. Una scelta di questo tipo, che coinvolgerebbe tutte le istanze educative, istruttive e formative presenti sul territorio, provocherebbe una positiva ricaduta sia su tutte le istanze interessate che sul territorio stesso!

“Sotto questo profilo, l’innalzamento dell’obbligo non avrebbe soltanto una ricaduta sui nostri sedicenni, ma contribuirebbe anche allo sviluppo di quel sistema integrato di istruzione e formazione che è nell’auspicio di tutti e che a tutt’oggi è soltanto ai primi passi. Il che consentirebbe anche di riavviare con maggiore cognizione di causa l’intero discorso sul secondo ciclo di istruzione per il quale possiamo contare, com’è noto, su tempi abbastanza distesi”.

Sono argomentazioni di due anni fa, che tornano di attualità proprio oggi, quando da certe parti sembra che si voglia ritornare a quel sistema duale, nodo centrale della riforma Moratti, che è da respingere perché non risponde a nessuna esigenza della nostra società, e dal quale peraltro lo stesso Ministro Gelmini – stando alle dichiarazioni rese in Parlamento ed alla conferenza dei Presidenti delle Regioni – sembra essere sufficientemente distante.

D’altra parte, è sotto gli occhi di tutti che l’attuale mondo del lavoro è sempre più riccamente articolato al suo interno, per cui quella separazione netta tra lavoro manuale ed intellettuale, ereditata da un passato anche non lontano, non ha più alcuna ragion d’essere. Pertanto, la formazione professionale regionale non può più svolgere quelle funzioni di recupero dei cosiddetti “meno capaci” e di formazione di una manovalanza di basso profilo. La sua funzione, invece, è quella di intervenire in quei settori di specializzazione di alto profilo tecnico e tecnologico che possono riguardare soltanto soggetti usciti da un obbligo di istruzione cha abbia almeno una durata decennale, come avviene del resto in quasi tutti i Paesi ad alto sviluppo. E si tratta di specializzazioni mirate che non sono di competenza dell’istruzione.

Va anche considerato che, a differenza di due anni fa, sono state definite con chiarezza le competenze culturali e di cittadinanza che i nostri sedicenni devono conseguire al termine del percorso obbligatorio. Si vedano gli allegati al dm 139/07, i quali per altro sono in linea anche con quanto l’Unione europea richiede ai Paesi membri. In tale direzione, infatti, si muovono le due Raccomandazioni del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 settembre e del 18 dicembre 2006, relative rispettivamente alla necessità di giungere ad un comune Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli di studio e di fare acquisire a tutti i giovani europei le stesse competenze chiave – curvate, ovviamente, alle specificità di ciascun Paese – perché possano esercitare in modo consapevole ed attivo i loro diritti di cittadinanza. Si tratta di obiettivi chiaramente definiti, perseguibili ed irrinunciabili.

In tale scenario, l’istruzione professionale regionale può essere partecipe dell’operazione innalzamento dell’obbligo di istruzione – va ribadito “di istruzione”! – a queste precise condizioni: a) che la titolarità progettuale sia dell’istruzione; b) che la formazione professionale garantisca, per le risorse di cui dispone e che devono essere opportunamente certificate, che il suo intervento concorre al perseguimento delle competenze culturali e di cittadinanza di cui agli allegati al dm 139/07.

La realizzazione di tali condizioni produrrà positive ricadute sull’intera offerta culturale della formazione professionale, sollecitando anche una sua crescita qualitativa. Questa sarà anche incrementata dal fatto che la formazione professionale, non più tenuta ad attivare corsi ah hoc per la fascia 14-16 anni – a prescindere dai percorsi integrati sperimentali che avranno termine quando l’intera operazione dell’innalzamento dell’obbligo sarà andata a regime – potrà dispiegarsi pienamente sul terreno di quelle specializzazioni di terzo livello ed oltre, di cui al citato Quadro europeo delle qualifiche.

I bienni dell’istruzione, da parte loro, concorreranno congiuntamente affinché gli studenti fruiscano di tutte le occasioni di orientamento e di riorientamento al fine di scegliere consapevolmente, al termine dell’obbligo di istruzione, se proseguire nei trienni dell’istruzione o nelle specializzazioni offerte dalla formazione professionale. A tal fine, si renderà opportuno ripristinare quelle “passerelle”, di cui al dm 323/99 (decaduto unitamente all’abrogazione della legge 9/99, istitutiva dell’obbligo di istruzione decennale, operata dalla Moratti), ovviamente con tutti i necessari aggiornamenti.

Si tratta di intraprendere una strada veramente innovativa i cui effetti positivi potranno vedersi, forse anche nei tempi brevi, sia nei percorsi dell’istruzione che in quelli della formazione. E l’annosa dicotomia tra apprendimenti intellettuali e apprendimenti manuali verrà finalmente a cadere!