Il bravo studente non paga le tasse.

 Gianfranco Cerea, La Voce del 28.7.2008

 

Riconoscere il merito nell'ambito della formazione universitaria rappresenta un passaggio  quasi irrinunciabile, in un contesto in cui l'80 per cento circa dei diplomati si iscrive a una facoltà. Per questo l’università di Trento ha introdotto la borsa di merito. In generale, gli importi delle tasse universitarie sono stati aumentati di circa il 50 per cento. Però, per i singoli studenti varieranno sia in base alla condizione economica del nucleo familiare che ai risultati raggiunti. I maggiori proventi serviranno poi a finanziare altre iniziative per combattere l'abbandono.

La crescente attenzione sull’importanza di riconoscere il merito, segnala implicitamente l’affermarsi dell’idea secondo cui “premiare i bravi” ha riflessi che vanno oltre la dimensione individuale, producendo vantaggi per la collettività nel suo complesso. Così inquadrato il tema della meritocrazia finisce per rientrare nel contesto economico delle esternalità positive, ovvero di casistiche in cui il settore pubblico è tradizionalmente chiamato a intervenire per promuove i comportamenti che le generano. 

 

IL MERITO ALL'UNIVERSITÀ

Nell’ambito della formazione universitaria sono da sempre presenti, anche se in misura marginale, forme che premiano il merito sul piano individuale: i rimborsi delle tasse, che taluni atenei riconoscono agli studenti che si laureano in corso, e i criteri utilizzati, in aggiunta alla condizione economica, per graduare le borse del diritto allo studio. Più difficile è invece individuare un approccio che voglia promuovere la generalizzazione del merito, nella convinzione che un ambiente in cui sono molti a impegnarsi, finisca per “contagiare” positivamente anche la maggioranza degli indecisi che oggi prolungano inutilmente gli studi, mantengono bassi profili o alla fine abbandonano più per inerzia di comportamenti che per l’incapacità di conseguire i risultati che la formazione universitaria richiede.

Riconoscere il merito rappresenta, peraltro, un passaggio importante e quasi irrinunciabile, in un contesto in cui quasi l’80 per cento dei diplomati si iscrive all’università. Se non adeguatamente gestita, questa dimensione di “massa” rappresenta la premessa per un fenomeno di abbassamento degli standard formativi, già verificatosi negli altri livelli della formazione italiana e ben testimoniato dalle indagini dell’Ocse.

Come dimostra l’esperienza delle università “private”, l’introduzione di efficienti barriere all’accesso può mettere gli atenei al riparo da questo pericolo. I modelli di selezione all’entrata, se generalizzati a tutta l’offerta formativa di tutti gli atenei, produrrebbero però una tendenziale penalizzazione per coloro che provengono dai ceti che sino a oggi sono rimasti estranei all’università, riconfermando logiche di redistribuzione perversa a favore di coloro che invece possiedono una formazione di qualità, di norma associata a una condizione economica di maggior favore. Una riproposizione dell’università in cui sono i meno abbienti a finanziare la formazione dei benestanti.

 

LA RIFORMA DI TRENTO

In virtù di queste considerazioni, l’università di Trento ha introdotto la “borsa di merito” nel nuovo sistema di definizione delle tasse universitarie, in vigore a partire dall’anno accademico 2008-2009. Per i nuovi iscritti all’ateneo, gli importi delle tasse sono stati complessivamente aumentati di circa il 50 per cento. Per i singoli studenti, però, le tasse varieranno sia in base alla condizione economica del nucleo familiare, che ai risultati raggiunti.

Al termine del percorso formativo, una quota di studenti, almeno pari al 50 per cento dei laureati, potrà infatti ricevere un rimborso di importo variabile fra 500 e 5mila euro, finanziato interamente attraverso il maggior gettito delle tasse e graduato in base ai risultati raggiunti. Il sistema vuole premiare il merito, stimolando così gli iscritti:

  • ad abbreviare i tempi per conseguire il titolo;

  • a conseguire crediti e votazioni elevate nel primo anno di iscrizione (alle lauree triennali), caratterizzato per molti studenti da una fase di “adattamento” con basse performance e significativi tassi di abbandono;

  • a partecipare a programmi di mobilità internazionale e di doppia laurea;

  • a ottenere valutazioni elevate sia per le singole prove che per il titolo finale.

Con alcune distinzioni per le lauree triennali, le magistrali/specialistiche e quelle a ciclo unico, i quattro elementi di definizione del merito, sommati tra loro, concorrono a quantificare il punteggio finale, sulla cui base verrà poi graduato il premio-rimborso. Per superare le particolarità dei diversi corsi di studi, rappresentati ad esempio dalla votazione finale media, i punteggi vengono quantificati secondo una logica di standardizzazione. Ciò consente di ricondurre la valutazione di tutti i laureati a un unico contesto di ateneo, garantendo di riflesso che la quota di beneficiari sia sostanzialmente la stessa per tutti i corsi di studio.

Un secondo passaggio importante della riforma trentina è rappresentato dalla definizione di tre diverse tipologie di contratto formativo, in base al tipo di impegno con cui lo studente intende dedicarsi allo studio universitario: il tempo pieno, il tempo parziale (pensato per chi già lavora) e l’“università aperta” (per chi studia in maniera occasionale e non vuole o non può assumere impegni sulla durata degli studi). Si tratta di un modello che consente la segmentazione della domanda, associandola peraltro a forme didattico-organizzative e di tasse universitarie diverse.

Per sostenere i giovani nell’avvio degli studi universitari, nel periodo cioè in cui più alto tasso di abbandono, saranno inoltre rafforzati i corsi di recupero e le attività di tutorato, anch’essi finanziati con il maggior provento delle nuove tasse universitarie. A questo compito saranno chiamati, e per questo pagati, gli studenti migliori degli ultimi anni e dei corsi di dottorato.

Ovviamente, il nuovo modello di contribuzione convive con il tradizionale sistema di borse per il diritto allo studio, di cui normalmente beneficia circa il 15 per cento dei laureati.