Metti una Gelmini a scuola. Marina Boscaino, l'Unità 10.7.2008 «Cicero pro domo sua» si diceva un tempo: le parole di Bossi contro Gelmini, rimproverata di essere alla guida della scuola senza essere un’insegnante, hanno il sapore - oltre che della prodigiosa capacità dell’Esecutivo di ricompattarsi sempre e comunque, nonostante la malcelata litigiosità - di un’esternazione motivata esclusivamente da ragioni di carattere «personale». «Mi piacerebbe un ministro leghista; ma non ce l’ho con la Gelmini, ma con il sistema e con quella cazzata dei crediti inventata dalla sinistra»: quando si dice lo stile... e la scuola «lumbard». Al di là dei gossip che pure hanno popolato le pagine dei giornali - sia riguardo alle intercettazioni sia ai presunti motivi della nomina di Gelmini - i rilievi di Bossi (e le risposte «a tono» del ministro) sollevano, inconsapevolmente, un problema interessante. Quello, cioè, di comprendere per quali motivi alcuni ministeri - dalla destra alla sinistra - siano automaticamente affidati a tecnici; ed altri, invece, governo dopo governo, siano il luogo destinato a giochi di poltrone, spartizioni di potere, equilibri interni, potenziamento di cordate. Nella storia politica recente abbiamo esempi diversi, che non indicano una strada definitiva nell’individuare l’identikit del buon ministro. Ma una cosa, almeno, è certa: conoscitori della scuola non ci si improvvisa. È stata proprio l’idea che la scuola - per il fatto di averla frequentata da studente in passato - sia automaticamente un ambito di facile interpretazione che ha determinato il fallimento di molte politiche scolastiche. E l’impopolarità di tanti ministri. Per far funzionare un meccanismo delicato come quello della pubblica istruzione non bastano certo atteggiamenti imprenditoriali, pigli manageriali, criteri mercantilistici. A meno che non se ne vogliano snaturare completamente vocazione e funzione. Il sospetto che queste siano le intenzioni di Gelmini è fondato, così come fu per Moratti: stili diversi, finalità simili. Il neoministro tende costantemente a proporre un’immagine pacata e rassicurante, tanto l’altra era algida e altera. Entrambe hanno predicato la logica del confronto, dell’ascolto: ma mentre Moratti ha cancellato in maniera netta e definitiva ogni traccia dei precedenti De Mauro e Berlinguer - circondandosi e dando voce effettivamente solo ai «suoi» - Gelmini, più astutamente, asseconda, con atteggiamenti che ricordano il consociativismo democristiano, le cosiddette «voci libere» del mondo della scuola, che a volte tanto libere non sono: si pensi, ad esempio, alla conferma di tutti i comandi decisi da Fioroni per quanto riguarda le associazioni professionali. Salvo poi avallare - senza un minimo di resistenza - il taglio drammatico da parte di Tremonti di più di 100mila posti di lavoro, che rischia di mettere in ginocchio definitivamente la scuola pubblica.
Chi è, dunque, il buon ministro? Tra un
insegnante competente e politicamente leale e un non insegnante
(incompetente) e politicamente letale esiste, dovrebbe esistere, un
giusto mezzo. Si tratta, me ne rendo conto, di una logica obsoleta,
in un mondo in cui il primato della Politica - nel senso etimologico
del termine - da destra a sinistra, ahimè, ha lasciato facilmente il
posto a soluzioni spettacolari (propriamente relative al mondo dello
spettacolo), a sollecitazioni del modesto immaginario collettivo a
suon di veline e imprenditori dal dubbio passato. In un mondo in cui
la spartizione, la cordata, il numero di poltrone contano molto più
non solo delle competenze specifiche, ma anche della capacità
politica. Ecco, la capacità politica: la disposizione, l’intenzione
e l’abilità di non perdere di vista il bene, l’interesse generale,
l’equità, l’uguaglianza dei cittadini, i principi costituzionali.
Che significa anche, qualora ci si chiami Mariastella Gelmini, si
abbiano 35 anni, non si sappia nulla della scuola e ci si trovi, per
avventura, a ricoprire nientemeno che la carica di ministro della
Pubblica Istruzione, studiare, studiare, studiare; evitare
l’improvvisazione - e l’avallo precipitoso - di soluzioni muscolari.
E avere l’accortezza di contornarsi di collaboratori competenti.
Altrettanto lontana dal mondo della scuola è la storia di Giuseppe
Pizza, l’unico sottosegretario di Gelmini. Lo ricordate? Alleato nel
2006 del centro sinistra, «detentore» del marchio “Democrazia
Cristiana”, ha rinunciato - a sentir lui per senso dello Stato - ai
diritti formali acquisiti con il ricorso contro l’esclusione dalle
recenti elezioni. Una poltrona sostanziale, evidentemente, vale più
di qualunque pur gloriosa identità ideale.
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