Non risulta proprio del tutto casuale l’identikit degli
insegnanti
Ma la politica continua ad offendere Marina Boscaino, l'Unità 14.7.2008 Gelmini non fa che ricordarci - è uno dei motivi conduttori dell’unico discorso che continua a riproporre - che il 98% delle risorse dell’Istruzione sono assorbite dagli stipendi del personale. E che - nella sua semplicistica e pseudo-manageriale lettura della realtà complessa della scuola - questo rappresenta il motivo principale per legittimare da una parte i tagli di Tremonti, per avallare dall’altra il retrivo antifannullonismo di Brunetta. Non risulta proprio del tutto casuale, dunque, l’identikit degli insegnanti che emerge dallo studio di Bankitalia e del Ministero dell’Istruzione: demotivati, stanchi, sfiduciati, alla ricerca delle "scuole migliori", vecchi, impreparati. Un quadro poco rassicurante, che incoraggia certamente Gelmini nella sua crociata, purtroppo non coadiuvata - come da promesse elettorali e da prime dichiarazioni - da aumenti stipendiali ai "reduci" della strage che si verificherà se quanto previsto dal decreto Tremonti dovesse avverarsi. La scoperta di questo panorama disarmante porta a delle considerazioni piuttosto ovvie, a dire la verità: la situazione dei docenti italiani sarebbe tanto più grave in quanto essi rappresentano la "principale determinante, insieme alle caratteristiche innate e al contesto socio-economico, degli apprendimenti degli studenti". Suscita stupore - lo dico tra parentesi - il fatto che una ricerca che ha sponsor con pedigree di rispetto possa cadere sulla sottolineatura delle "caratteristiche innate" dei discenti; e compiacimento il riconoscimento dell’importanza del contesto socio-economico, che però non trova riscontro nella politica di tagli indiscriminati, che andrà a penalizzare ulteriormente le aree socialmente più deprivate. Ma la considerazione centrale è come si concilino - a fronte di tanta importanza - le annunciate proposte di "razionalizzazione" del personale docente. I ricercatori di Bankitalia e del ministero ci informano che l’accesso al mondo della scuola avviene per "selezione avversa": confluirebbero nella scuola i meno preparati. Nulla di più vero, soprattutto per le discipline scientifiche. Ma si dia un solo motivo per cui un chimico o un fisico dovrebbero - dopo un corso di laurea tanto impegnativo, portato a termine in modo brillante - andare ad arricchire le fila dei docenti di scuola e affrontare delegittimazione sociale, mancanza di gratificazione economica, un ambiente intellettualmente sempre meno propositivo e stimolante, anche grazie al "patto scellerato" che ha permesso l’accettazione - dagli anni 70 in poi - del criterio "lavorate poco, guadagnate poco" e la conseguente "femminilizzazione". Salvo ignorare volontariamente il congruo numero di insegnanti che continuano ad interpretare in maniera etica e culturalmente significativa il proprio impegno, mettendo in gioco intelligenza e competenze che riscuotono un interessamento di comodo solo durante le campagne elettorale, mai concretizzato da azioni seguenti. La ricerca sottolinea la tendenza al turnover e stigmatizza il "mismatch", lo scarso attaccamento degli insegnanti al proprio istituto, sottolineando come i docenti cerchino le "scuole migliori". A quanto risulta le politiche scolastiche degli ultimi anni - in particolare quelle della Moratti - non hanno minimamente ritenuto centrale la questione della continuità didattica, considerando la scuola come fonte alla quale attingere per risparmiare contraendo cattedre, accorpando classi, sfruttando l’opera del precariato cui la continuità non è garantita per propria stessa condizione. E lo spirito di appartenenza, una discutibile visione ricorrente, alla quale siamo spesso richiamati, non rientra nelle caratteristiche obbligatorie di chi percepisce stipendi oltraggiosi.
Insomma. Un altro contributo a dire il
fallimento della scuola italiana e l’incapacità dei docenti. Il
problema esiste, si è detto e ripetuto. Si chiama demotivazione, si
chiamano stipendi bassi, a volte scarsa preparazione, talvolta
inabilità a supportare le proprie conoscenze con una capacità di
relazione che le renda incisive; ancora, è l’ incapacità di
attribuire ad un ruolo immobile nel tempo, in una scuola immobile
nel tempo, una dimensione realmente incisiva sulla complessità del
reale. Incapacità alla quale si può rispondere con l’autoreferenzialità
di molti; o reagendo con la collegialità di una dimensione realmente
intellettuale. L’unica che potrebbe, forse, salvare la scuola da un
collasso che probabilmente è già avvenuto, senza che tanti se ne
accorgessero. |