Brutta partenza.
Troppi tagli nella Scuola e scarse
immissioni in ruolo di Rino Di Meglio, da Professione Docente, luglio-agosto 2008 Nel numero di maggio, il nostro giornale si chiedeva come sarebbero mutate le cose dopo il cambio di governo delle ultime elezioni. La domanda non era retorica, ma rispondeva allo spirito- e anche alla lettera dello statuto- della nostra associazione di giudicare ogni governo dalle scelte effettive e concrete che compie. Per la Gilda degli insegnanti, che festeggia quest’ anno i suoi vent’ anni, l’ autonomia di giudizio è stata sempre una scelta ricorrente in un cammino impegnativo durante il quale la libertà dai partiti e l’autonomia decisionale sono stati pagati a caro prezzo. Questo percorso non facile ha rafforzato la nostra Associazione, più pronta che mai ad andare avanti e ad affrontare tutte le scommesse del futuro con la medesima libertà di giudizio. Quella libertà che oggi- dopo le prime decisioni del nuovo Governo sulla Scuola- ci fa dire con grande chiarezza che la partenza è davvero molto brutta. Due sono i punti ( per ora!) decisamente preoccupanti : il testo dell’ ultima legge Finanziaria, appena approvata dal Consiglio dei Ministri, e tradotta nel Decreto legge 112/08 e la scarsità delle immissioni in ruolo. Il primo punto non lascia spazio ad alcuna illusione, semmai ve ne fossero state. Ancora tagli massicci e devastanti nel settore dell’ istruzione statale, cioè di quell’ istruzione rivolta alla crescita umana, culturale ed economica di un Paese. Il secondo punto, relativo all’ immissione in ruolo, rivela un’ operazione assolutamente insufficiente, sia rispetto agli impegni assunti dalla Finanziaria varata dallo scorso Governo, che prevedeva l’assunzione di 150mila precari in tre anni, sia rispetto al numero di posti effettivamente vacanti. Troppi sono i precari che dovranno continuare a lavorare nell’ incertezza di una vita professionale flessibile che mal si concilia con l’ attenzione all’ insegnamento e all’ apprendimento per i quali sono necessarie, per affrontare la sfide del futuro, stabilità e continuità. Purtroppo, questi interventi si aggiungono alle soppressioni di posti già compiute dai precedenti governi ( almeno 42000 posti cancellati dal governo Prodi) con un risultato che si commenta da sé : se è ormai evidente che si intende procedere all’ eliminazione di più di 100000 posti nel prossimo triennio, non è azzardato pensare che sia in progetto la dismissione della Scuola statale e cioè della Scuola di tutti. Infatti, come già avevamo sottolineato alcuni mesi con il governo di Centro sinistra , di tagli si muore. Malgrado i toni sempre più insistenti di “esperti” e della stampa, non ci hanno ancora convinto le voci che attribuiscono alla Scuola sprechi di danaro pubblico. Dove sarebbero questi sprechi? Non certo negli edifici scolastici a rischio sicurezza, sovraffollati, in cui mancano non solo le strumentazioni più moderne, ma perfino banchi e sedie decenti, carta e gessi. Non certo in una politica che, intervenendo sul turn over, non rinnova la propria classe docente. Non certo nell’ aumentare il rapporto docenti-alunni , non considerando il massiccio e continuo ingresso dei figli degli immigrati stranieri, cioè di alunni che avrebbero bisogno di maggior attenzione, di interventi mirati e di integrazione e soprattutto ignorando i dati ufficiali che raffigurano una diversa lettura del supposto rapporto tra docenti e studenti in Italia più alto che negli altri paesi europei. Infatti, non si considerano mai alcuni elementi importanti : in Italia, ci sono, dati del 2005-06, 48.607 docenti di sostegno ( il cui servizio, negli altri paesi non è a carico del bilancio della Pubblica Istruzione), 25.679 insegnanti di religione cattolica, assunti in seguito a precise Leggi dello Stato, senza considerare i docenti riservati alle minoranze linguistiche ( sloveni ecc..), e le scuole confinate in piccoli paesi o isole, che non si possono certo sopprimere. Né si ritrovano- gli sprechi- in un’ organizzazione del lavoro, che, aumentando il precariato docente, incide sull’ efficacia dell’ insegnamento, poiché impedisce quella continuità didattica che è elemento fondamentale per ottenere risultati nell’ apprendimento. Invece, la verità è che l’Italia, per investimenti nell’istruzione, si trova agli ultimi posti nella classifica dei paesi sviluppati, ed è soprattutto per questo motivo che i rapporti internazionali fotografano una qualità della Scuola in calo. Con questi tagli, non si investe certo sui docenti e sul loro coinvolgimento professionale, e quindi sul rilancio della Scuola pubblica. Al contrario, la miopia di un’intera classe politica, distratta verso una delle istituzioni fondamentali della Repubblica, mortifica e demotiva i docenti, oltretutto in discesa sociale per le basse retribuzioni, ed innesca una spirale negativa in fondo alla quale ci potrebbe essere la fine della Scuola pubblica statale così come già avvenuto in altri paesi occidentali.
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