Il concorso che visse due volte. Ugo Trivellato da La Voce del 5.6.2008 Nel lontano 2002 l'università di Messina bandisce un concorso per professore di prima fascia in Statistica economica. Di cui si perde traccia, grazie a due commissioni giudicatrici che si succedono senza concludere i lavori. Ora, sta per essere eletta la terza. Chiamata a giudicare i pochi candidati superstiti sulla base di pubblicazioni di sei anni fa. Perché semplicemente l'ateneo non emana un nuovo bando per lo stesso posto? La scelta avrebbe l'evidente vantaggio di consentire la partecipazione di tutti gli interessati di oggi, e con una produzione scientifica aggiornata.
Tra qualche settimana, i docenti delle
università italiane saranno chiamati a eleggere le commissioni
giudicatrici per una tornata ad hoc di concorsi per ricercatore
recentemente banditi dagli atenei. Ma tra quelli per i quali si
eleggeranno le commissioni, compaiono anche concorsi “sopravvissuti”
da bandi di anni passati, per qualche motivo non conclusi.
Il fatto, per cominciare. L’università di
Messina bandì un posto di professore di prima fascia con
pubblicazione nella Gazzetta ufficiale del 12 aprile 2002. (No, non
c’è alcun errore: si tratta proprio dell’anno Duemiladue). Si sono
succedute due commissioni giudicatrici senza avere concluso i
lavori: la prima, nominata nel febbraio 2003, modificata per
sostituzione del presidente; la seconda, nominata nel febbraio 2004,
alla fine sciolta.
Tutto regolare dal punti di vista formale? Non saprei. Lascio ai giuristi sciogliere l’interrogativo. Ma ci sono ben pochi dubbi sul fatto che tale dilazione nei tempi di svolgimento di un concorso sia in palese contrasto con lo spirito della legge, pur mediocre per altri aspetti, tanto che il legislatore ha deciso di cambiarla. La logica dell’attuale procedura di reclutamento è che ci sia un giudizio tempestivo basato sulla produzione scientifica aggiornata dei candidati. I tre bandi di concorso l’anno – a lungo la cadenza “normale” – e l’obbligo per le commissioni di concludere i lavori in tempi brevi, prefissati, ne sono testimonianza inconfutabile.
Obiettivo violato nei fatti da comportamenti che
portano a dilazionare, e in misura abnorme, la conclusione del
concorso. Come appunto, nel caso di Messina: si elegge, con qualche
ritardo, una commissione che non conclude i lavori perché il suo
presidente, membro designato dalla facoltà, viene escluso per
perduranti assenze. La facoltà procede a sostituirlo designando un
nuovo membro interno, che dopo parecchio tempo, e senza aver mai
convocato la commissione, rassegna le dimissioni, sicché la
commissione decade. Ora, a più di sei anni dal bando, si procede a
eleggere una nuova commissione. Il punto che preme sottolineare è che in caso di ritardi eccessivi si determina una distanza abnorme fra il momento della presentazione delle domande e il momento della valutazione. Le conseguenze negative, gravi, sono ovvie. ● Il concorso finisce per svolgersi con un insieme di candidati impoverito. Parecchi, fra i quali si suppone vi siano i migliori, nel frattempo sono risultati vincitori di altri concorsi. A Messina, dei tredici che avevano presentato domanda, “sopravvivono” quattro candidati. ● In ossequio alle norme procedurali, ma per certo in violazione dello spirito della legge, questi pochi candidati rimasti saranno giudicati sulla base di una produzione scientifica vecchia di oltre sei anni, perché ferma al momento della presentazione delle domande. ● Saranno esclusi nuovi potenziali candidati, segnatamente giovani, che nell’arco dei sei anni di impropria moratoria hanno accumulato una produzione scientifica adeguata.
È proprio questo che qualcuno non vuole? E se così fosse, non è forse dovere innanzitutto di chi ha poteri e responsabilità dirette in materia – il rettore dell’ateneo di Messina e il ministro per l’Università e la ricerca – di affrontare e risolvere la questione?
Per quanto siano pochi, al limite il solo qui
menzionato, questi casi sono esemplari nella loro paradossale
ottusità. Più in generale, interpellano quanti hanno responsabilità
pubbliche nei confronti dell’università italiana e quanti –
esponenti di organizzazioni sociali, stampa, non certo ultimi i
docenti universitari, opinione pubblica – hanno a cuore le
problematiche sorti dei nostri atenei. |