Abbiamo chiesto a tre insegnanti cosa pensano
dell'aumento degli stipendi Stipendi bassi, soddisfazioni scarse.
Dopo le promesse del ministro Gelmini Jenner Meletti, la Repubblica 12.6.2008
BRESCIA, dal nostro inviato Lezioni di italiano, storia e geografia, colloqui con i genitori. «In questi incontri scopri che il rispetto è stato dimenticato anche fuori dalle aule. Solo qualche genitore, che ha una cultura e soprattutto una certa sensibilità, ti dice che un lavoro importante come quello dell'insegnante oggi è pagato una miseria. Gli altri, invece, quasi ti prendono in giro. "Voi professori fate tre mesi di vacanze, lavorate solo qualche ora e poi siete liberi tutto il santo giorno…". Il mio stipendio, dopo trent'anni e con due figli a carico, è di 1700 euro al mese. L'ultimo aumento in busta paga, con il contratto, è stato di 73 euro. E questi genitori sono gli stessi che pretendono di insegnarti il mestiere. "Ma come si permette, perché ha dato un'insufficienza a mio figlio?". Sono quasi tutti padri e madri di figli unici, che ovviamente sono sempre bravi, buoni, intelligenti. L'altro giorno una madre mi ha contestato il risultato di una verifica. "Conti bene, gli errori sono soltanto 59 e non 60 come ha scritto lei". Insomma, io non mi permetterei mai di andare dal medico e, invece di ascoltarlo, insegnargli il mestiere. Con l'insegnante invece si può fare. Quando io ero l'alunna c'era il problema opposto: per i genitori il professore aveva sempre ragione, anche quando non era il caso. Dal rispetto assoluto si è passati alla considerazione zero. In una società dove i soldi sono tutto, in fin dei conti, non puoi meravigliarti troppo». Ieri l'ultima riunione per gli scrutini. «Guardi, nonostante l'esperienza ancora oggi non so dirle se sia giusta una scuola media che non boccia. Un confronto però lo posso fare. Se i miei ragazzi di oggi fossero stati scrutinati con lo stesso criterio che si usava quando andavo alle medie io, uno su tre sarebbe stato bocciato. E invece sono stati tutti promossi. Si tiene conto del disagio familiare, si dice che tanto dopo la licenza l'alunno si iscriverà a un corso professionale… Bisognerebbe comunque decidere criteri più precisi. Nella mia classe tutti promossi, in un'altra cinque bocciati. E poi c'è la moltiplicazione delle competenze. Una volta facevi lezione di Lettere e basta. Adesso devi preparare il corso di educazione alla salute, quello di educazione stradale, discutere di bullismo… Tutto giusto, ma ci riconoscano competenza e professionalità. Guardi, quasi tutti noi insegnanti siamo cinquantenni, ma ci diamo ancora da fare. Ci crediamo, nella scuola pubblica. Io di assenteisti non ne ho incontrati. E quando si fanno confronti con l'Europa – sono nella Cgil scuola e ho fatto bene i confronti - spesso si raccontano bugie. In Francia, ad esempio, gli insegnanti lavorano meno di noi. E hanno stipendi ben più dignitosi». Ernesto Chiodelli, anche lui cinquantenne, insegnante elementare a Milzano, dai suoi scolari viene ancora onorato con il titolo di sempre, Maestro. «A dire il vero qualcuno mi chiama Ernesto e poi, sottovoce, aggiunge"…spara lesto", ma sono bimbi, lo fanno per ridere. Per loro sei una figura importante. Con gli adulti è diverso. Quando va bene, siamo visti come una specie di impiegati. Io non rimpiango i tempi in cui il Signor Maestro o la Signora Maestra erano vere autorità. Ci sono passato anch'io, da quella scuola. Per fortuna ero bravo e non ho rischiato di finire alle "differenziali". Se un bambino aveva problemi finiva nel ghetto, non c'erano certo i percorsi educativi individuali che prepariamo oggi, perché ogni alunno possa percorrere il suo pezzo di strada camminando comunque assieme agli altri. Non mi sento un Signor Maestro ma nemmeno un impiegato. Lo confesso, io credo ancora nella scuola come missione. Prendi i bambini in prima elementare, li porti fino all'esame di quinta, li vedi crescere, maturare. La soddisfazione viene da qui, dal "miracolo" di una scuola che pur fra tante difficoltà continua ad essere la più importante agenzia formativa». In ruolo dal 1982 il maestro Chiodelli si trova in busta paga 1500 euro al mese. «Ho una figlia di 19 anni che quest'anno fa la maturità. Con questo stipendio, non è facile arrivare a fine mese. E ci sono tanti che ti danno dello sfaticato, dicendo che è bello lavorare solo al mattino o al pomeriggio, andare in vacanza due o tre mesi all'anno… Non hanno idea di cosa sia il lavoro di un maestro. Io insegno in una classe a tempo pieno e le mie materie sono matematica, scienze e informatica. Un tempo l'insegnamento era più semplice. Il Signor Maestro conservava il quaderno dell'alunno più bravo e lo usava anche l'anno dopo. Lo mostrava come esempio da imitare ai nuovi scolari, gli serviva anche come traccia per le lezioni. Io, oltre a prepararmi a casa per le tre materie, devo studiare i percorsi individualizzati di ogni bambino e tutto questo in una scuola dove il 40% degli alunni arrivano dalla Romania, dalla Bulgaria, dall'India, dalla Nigeria, dall'Egitto… Un maestro deve riuscire a fare convivere tutte queste anime e la scuola è il luogo privilegiato per l'interculturalità e l'integrazione. Se non ci riusciamo noi, chi può farlo?».
Applausi all'idea del ministro Mariastella
Gelmini, con una raccomandazione. «Per favore, non pensi anche lei a
una riforma. Abbiamo già avuto quelle di Berlinguer, Moratti,
Fioroni, basta così. L'aumento di stipendio è giusto ma altrettanto
giusto è dare più risorse alla scuola. Fino a quale anno fa per 6
sezioni a tempo pieno c'erano 12 insegnanti, ora sono 9 e mezzo (il
maestro dimezzato è quello che salta da una scuola all'altra, a
"scavalco" sui vari plessi). Riusciamo a fare solo tre ore di
compresenza alla settimana e siamo costretti a usarle per seguire i
bambini non cattolici mentre gli altri seguono l'ora di religione.
Una scuola più "ricca" forse sarebbe più rispettata». In ruolo da 31 anni, stipendio di 1900 euro al mese. «Io insegno in un liceo particolare, forse un'isola felice. Chi si iscrive all'Arnaldo ha motivazioni superiori, è consapevole di ciò che dovrà affrontare. Molti sono bravi e questo facilita i rapporti, anche con i genitori. Ma ho insegnato anche in altre scuole, ho visto con i miei occhi quella che Pasolini ha chiamato la "mutazione antropologica". Ho fatto il liceo nella mia terra, al Pisacane di Sapri, negli anni '60. Prima del Sessantotto noi alunni avevamo timore reverenziale e stima autentica per gli insegnanti. Anche dopo la contestazione e fino agli anni '80 gli allievi hanno cercato di distinguere fra i professori progressisti e disponibili a cambiare la scuola e gli altri più rigidi, chiusi al nuovo, ma c'era comunque stima per chi sapeva fare il proprio mestiere. Ora tutto - e parlo della scuola in generale - è più difficile. Gli alunni sono cambiati, sono allo stesso tempo arroganti e fragili. Si ribellano quando li richiami, sembrano intolleranti e poi improvvisamente si mettono a piangere. I genitori sono iperprotettivi, si schierano sempre con i loro figli. Pensano che l'insegnante vada tenuto sotto controllo e i continui appelli contro gli statali "fannulloni" non aumentano certo la nostra considerazione sociale».
Le risorse mancano anche nelle "isole felici".
«Abbiamo organizzato un convegno sul poeta Camillo Sbarbaro, ci
abbiamo lavorato in 8 persone per quasi un anno e alla fine siamo
stati compensati con 50 ore pagate 19 euro lorde, da dividere in
otto. Con 800 alunni per corsi di recupero, progetti didattici e
culturali e tutto il resto c'è un fondo di istituto di 90.000 euro.
Noi "fannulloni" teniamo aperta la scuola alla sera per
l'orientamento in entrata e in uscita, siamo lì al pomeriggio per
accogliere gli studenti delle medie, io curo anche la biblioteca… Ma
sono un insegnante che non si lagna. Se lo stipendio aumenta, bene.
Debbono arrivare però più soldi anche per la scuola. Insegnare è
difficile ma bellissimo. Chi non ne comprende il valore non sa che
l'investimento nella scuola vale per tutta la vita. Ci sono ex
alunni che vengono a trovarmi, mi dicono che gli anni del liceo sono
stati decisivi. E allora ogni mattina mi metto in cattedra con
impegno. So di fare una cosa importante». Non ci sono "profe", al
liceo Arnaldo. «Gli alunni mi chiamano professore. E' proprio il
mestiere che volevo fare». |