Parità/3. Tuttoscuola, 13 giugno 2008 Malgrado l'interpretazione autentica che ne diedero gli stessi autori, la formula "senza oneri per lo Stato" fu tuttavia interpretata da molti costituzionalisti come un divieto assoluto. E la stessa DC, dopo le elezioni del 1948, preferì evitare di tornare sull'argomento per evitare contrasti con i laici, nei governi centristi, e successivamente con i socialisti nei governi di centro-sinistra. Anche per questo si preferì rinviare l'approvazione della legge sulla parità, che pure costituiva un adempimento costituzionale. Solo dopo la fine della "prima Repubblica" e il tramonto della DC (e del PSI) il tema della parità fu ripreso dai governi dell'Ulivo (1996-2001), che provarono a ridefinire i rapporti tra scuole statali e paritarie con la legge n. 62/2000, che riconosceva il ruolo di servizio pubblico reso dalle scuole non statali che acquisivano la parità. Ma alla parità giuridica, che pure ne poneva qualche premessa, non seguì quella economica. "Lo Stato ha riconosciuto un diritto, ma non ha creato le condizioni per garantirlo in quanto fa ricadere interamente sulle famiglie il costo della libera scelta", sostiene don Macrì, Presidente nazionale della Fidae.
Neppure il lungo governo Berlusconi-Moratti del quinquennio
2001-2006 è stato in grado di modificare sostanzialmente la
situazione. Tanto meno il governo Prodi, condizionato dall'ostilità
della sinistra cosiddetta radicale a qualunque violazione o
aggiramento del principio del "senza oneri per lo Stato". Ma ora
sembrano essere maturate condizioni nuove e diverse... |