La nostalgia della maestrina
dalla penna rossa.

Dedalus, da ScuolaOggi del 4.6.2008

Anche Adriano Sofri, l’ex leader di Lotta continua ora collaboratore fisso del quotidiano "la Repubblica", si cimenta su questo giornale su temi riguardanti la scuola e l’educazione (vedi l’articolo “Ecco perché ci servono più maestre da libro Cuore”, prima pagina di Repubblica del 3.6.2008). La famosa richiesta di continuare ad avere la “maestra Gisella”, giunta alla soglia dei 70 anni, da parte dei bambini di una classe quarta della scuola primaria Piaget di Roma (già commentata su Scuolaoggi da Federico Niccoli) è un pretesto dal quale Sofri prende spunto per andare con la memoria ai tempi della sua adolescenza e ancora più in là, fino a spingersi a rimpiangere le memorabili pagine di Cuore di De Amicis.

Condividiamo totalmente le conclusioni a cui Sofri giunge quando scrive che “il luogo in cui ci si può immaginare un incontro di civiltà e di persone, e una simpatia pentecostale, è la scuola elementare pubblica. Lei e le sue maestre”. Come una volta, ai tempi di Cuore, nella scuola primaria – e nella scuola pubblica in particolare - si realizzava l’incontro fra bambini appartenenti a famiglie di ceti sociali diversi e provenienti da regioni diverse (“Oggi entra nella scuola – scrive Sofri, immaginando cosa diceva allora agli scolari torinesi una maestra – un piccolo italiano nato a Reggio Calabria, a cinquecento miglia da qui. Vogliate bene al vostro fratello venuto di lontano…”), così oggi si realizza, proprio qui, un amalgama interclassista e multiculturale, un’importante e positiva forma di integrazione.

Ed è altrettanto indubbio che nella scuola elementare italiana vi sono insegnanti (soprattutto maestre perché i maestri uomini oggi sono merce rara) che “presiedono a questo incontro, il più determinante e il più fecondo”.

Ebbene sì, fuor di retorica, nella scuola elementare italiana vi sono docenti che svolgono un ruolo educativo fondamentale di prima scolarizzazione dei bambini, oggi di diverse etnie e provenienze sociali e culturali, e lo fanno con impegno e dedizione. E’ giusto e doveroso riconoscere questo dato, come pure il fatto che la scuola primaria italiana è senza dubbio quella “messa meglio” tra i vari ordini e gradi di scuola nel nostro paese. Certamente più critica è la situazione nelle scuole superiori, di primo e secondo grado. E fin qui condividiamo.

Ci lascia invece più perplessi il riferimento ad una figura di insegnante che, questa sì, appartiene ad un passato difficilmente riproponibile, vale a dire il “maestro unico”. Nell’articolo di Sofri questo traspare con evidenza quando lo stesso scrive, en passant “quando l’antica maestra intera si scisse nelle tre maestre per due classi, per ragioni sindacali contro il crollo demografico, si minò uno dei pilastri della nostra convivenza”. E’ qui che riemerge la nostalgia della maestrina dalla penna rossa d’antan. Già Beniamino Brocca, uno degli estensori della legge di riforma della scuola elementare n.148/1990, ebbe modo di argomentare criticamente contro questo modello pedagogico e organizzativo.

Ma perché non è più riproponibile questa ipotesi, il famoso “tempo normale” della scuola tradizionale? Innanzi tutto perché è aumentato il tempo scuola. Dalle 24 ore settimanali di una volta (la scuola del mattino) si è passati alle 27-30 ore dei moduli didattici e alle 40 del tempo pieno. Questo vuol dire che un solo insegnante non è più sufficiente. Non solo, ma sin dal 1985 sono stati introdotti, nei programmi didattici, gli ambiti disciplinari ed è difficilmente immaginabile un solo insegnante che riesce ad insegnare tutto, da italiano a informatica, da matematica alla lingua straniera e alle varie educazioni. Si richiedono competenze disciplinari diverse e questa è la ragione per cui si tende a suddividere gli insegnamenti fra più docenti.

Ma soprattutto, nell’ipotesi nostalgica del maestro unico, non si tiene conto dei passi avanti compiuti dalle esperienze didattiche più avanzate della scuola reale nel nostro paese. Già illustri pedagogisti come Bruno Ciari e Sergio Neri teorizzavano, sin dagli anni settanta, l’importanza della collaborazione fra i docenti, la pratica didattica della "cooperazione educativa". La scuola a Tempo pieno ha affermato poi (e a Milano come non ricordare grandi direttori didattici innovatori come Silvano Federici e Federico Niccoli?) una modalità di gestione delle classi e dell’insegnamento fondata sul team docente, sul "lavorare in gruppo".

Non c’è dubbio che il Tempo pieno di oggi va ripensato e sovente non ha più quei tratti di innovazione didattica che metteva in campo negli anni settanta e ottanta, ma ci sembra decisamente un passo indietro pensare di tornare a modelli organizzativi ancora più vetusti e superati.

Noi continuiamo a pensare che il “gruppo docente” sia un modello organizzativo e pedagogico valido e attuale. Il problema semmai, e Scuolaoggi da tempo insiste su questo tema, si sposta su “quali insegnanti” per una scuola che sia veramente di qualità. Vale a dire la questione delle forme di reclutamento e selezione del personale da un lato e della formazione in servizio dall’altro. Questi sono i problemi reali, se si vuole rinnovare e "modernizzare" il nostro sistema di istruzione oggi. Non certo il rimpianto della maestrina dalla penna rossa.