Modesti suggerimenti al ministro Gelmini

Paolo Mazzocchini, DocentINclasse, 19.6.2008

 

Gentile ministro,
Mentre Ella finalmente si accorge (prima fra i suoi colleghi: meglio tardi che mai!) che lo stipendio dei docenti è molto più basso della media europea, il governatore Draghi si affretta contemporaneamente a lamentarsi del fatto che i docenti italiani sono troppi e lavorano un po’ meno rispetto a quella media.
Avrei motivo di rallegrarmi per le Sue dichiarazioni; in realtà – lo confesso- esse mi insospettiscono un po’.
Proprio perché vanno idealmente di concerto con quelle di Draghi e sono oggettivamente in contrasto con la politica dei tagli selvaggi dei finanziamenti per la scuola pubblica attuati ed annunciati dal Suo governo.
Tagliare indiscriminatamente le classi e le cattedre ed incrementare il numero degli alunni e l’orario di lezione settimanale dei docenti è stato infatti lo sport comune a tutti i recenti ministri dell’istruzione, mentre aumenti di stipendio di qualche rilievo non se ne sono mai visti.
Come crederLe proprio adesso che il Suo collega Tremonti vorrebbe sottrarre alla scuola ulteriori risorse per coprire il disavanzo pubblico?
Insomma: da un lato ascolto lusinghiere promesse verbali, dall’altro intravvedo prospettive più che reali di aggravio di oneri di lavoro.
Come sempre, da alcuni decenni a questa parte.

Ma vorrei vincere per un attimo il mio inveterato scetticismo e forzarmi contro ragione a crederLe. Sì, a credere che Lei adeguerà davvero i nostri stipendi alla media europea.
Ciò concesso, mi permetto allora di fornirLe modestamente qualche consiglio utile a realizzare con equità e buon senso il Suo nobile scopo:

1) non pretenda dalla categoria, in cambio di questo giusto e necessario adeguamento generalizzato, ulteriori carichi di lavoro, sotto qualsiasi forma (straordinari, incombenze burocratiche e logistiche aggiuntive, presenza coatta pomeridiana a scuola, corsi di recupero). La categoria, per quantità e qualità del lavoro ordinario che già effettivamente svolge, merita sic et simpliciter uno stipendio-base decisamente superiore a quello, indecoroso per un professionista, che ora percepiamo. Innalzi dunque in primo luogo lo stipendio-base per tutti.
 

2) Prenda poi atto che il lavoro del docente, anche sul piano meramente quantitativo, non si riduce affatto al numero di ore di lezione in classe, come credono (ahimé confermati nella loro credenza dalle parole di Draghi) milioni di livorosi qualunquisti nostrani, bensì esso raddoppia almeno, rispetto a quelle ore, per una serie di attività sommerse, talora invisibili e non sempre facilmente quantificabili, oltre che disomogenee da una cattedra all’altra. Cominci dunque in secondo luogo a pensare a degli incentivi differenziati, rispetto allo stipendio-base, in relazione a queste disomogeneità oggettive: incentivi in relazione ai compiti da preparare e da correggere, per esempio, o al numero complessivo di alunni da gestire o alla maggiore responsabilità che comporta insegnare le materie caratterizzanti di un certo indirizzo di studi.
 

3) In terzo ed ultimo luogo (ma non senza aver prima realizzato i due punti precedenti) premi pure economicamente la qualità degli insegnanti introducendo progressi di carriera legati al merito. Ma attenzione: il docente che merita non è quello che fa più progetti, riunioni, corsi di recupero o varie amene attività ‘extra’ e ‘para’. Il docente che merita è quello che insegna meglio degli altri ed è più bravo degli altri ad aprire la mente dei suoi allievi. Non confonda la quantità con la qualità. Insegnare meglio degli altri è frutto del talento, della preparazione, della passione per la propria materia e della sensibilità verso i propri studenti;e per coltivare bene la propria preparazione difficilmente il bravo insegnante ha tempo e disponibilità per fare di tutto, di più (e di altro), come invece purtroppo si chiede oggi di fare ai docenti della scuola 'autonoma'. Faccia inoltre, la prego, molta attenzione a non lasciarsi fuorviare da semplicistici e facili miraggi di valutazione oggettiva. Il merito di un insegnante è cosa molto difficile da valutare. Perciò non potrà realizzarsi se non attraverso una scrupolosa ed equanime disanima di dati proveniente da diverse fonti: alunni, famiglie, dirigenza, titoli culturali e didattici ecc. Una commissione mista farebbe probabilmente allo scopo. Ma attenzione ancora a non cadere in due ulteriori fatali tranelli: il numero dei promossi e la discrezionalità di scelta dei dirigenti. Il primo infatti è spesso più alto in presenza di insegnanti scadenti e di conseguente manica larga. La seconda potrebbe escludere dal progresso di carriera insegnanti bravissimi ma nonostante questo (o forse proprio per questo) non sufficientemente sottomessi o collaborativi: insegnanti ‘liberi’, insomma, ancora renitenti alle pastoie burocratiche e alla deriva populistica e pseudoaziendalistica che affligge la nostra scuola e di cui i dirigenti si sono resi per lo più, negli ultimi decenni, attivamente corresponsabili.