I CIP rispondono a Francesco Giavazzi. dai C.I.P. del 15.6.2008 Dagli editoriali dei saccenti tuttologi ultimamente si sprecano gli articoli per lapidare la professione docente. Quella che un tempo era una professione apprezzata e socialmente riconosciuta, oggi è banalmente marginalizzata e disincentivata ad arte, quando non addirittura linciata. Il docente, nell’oleografia più recente, è un precario, sottopagato e sottostimato, quando non direttamente incapace, ignorante, demotivato. Gentile dottor Giavazzi, chi le scrive, in risposta al suo editoriale pubblicato sul Corriere della Sera del 15 giugno, è la più antica Associazione di precari, ma oggi con questo scritto ci sentiamo di rappresentare il pensiero di tutti i lavoratori precari della scuola che sono inseriti nelle graduatorie permanenti. Le scriviamo perché ci sentiamo oltraggiati a essere ritenuti docenti di risulta e non per scelta. Di certo nessuno di noi è un santo. Ma di sicuro abbiamo una o più lauree, svariati concorsi a cattedra, altrettanti corsi abilitanti, specializzazioni universitarie, master, perfezionamenti e molto altro ancora imposto da uno stato biscazziere. Tutto questo non è ancora sufficiente a giustificare una scelta? E il calvario professionale che ci ha portato a decenni di precarizzazione in regime di caporalato di Stato, giustifica le ragioni di una “scelta” netta e nobile? Al di là del misero stipendio? Le graduatorie permanenti, che lei auspica boicottare in nome delle chiamata diretta da parte dei Dirigenti scolastici, sono liste che includono circa 250.000 docenti laureati che, nel corso degli anni, per alcuni decenni, si sono sottoposti ai pubblici concorsi banditi dallo Stato per il conseguimento delle abilitazioni all’insegnamento necessarie all’inclusione nelle graduatorie per l’acceso ai ruoli dello Stato. Ne fanno parte precari utilizzati dallo Stato, servitori dello Stato quando allo Stato serve, lì dove occorre, per il tempo e gli insegnamenti disponibili. Molti lo fanno da tempo, tanto, per questo ci chiamano storici. Insegnamo per passione e, nostro malgrado, per collezionare punti e la scuola, ne sia certo, la conosciamo. Lei dimentica di dire che quei 50.000 insegnanti precari che dovrebbero essere assunti, nella scuola ci lavorano già, e da decine di anni. Hanno esperienza pluriennale, soprattutto sul campo. Vuole davvero metterli in competizione col giovane biologo? Vuole davvero che cambino lavoro? Ma lo sa che l’età media di un precario della scuola è di 38-40 anni? E come mai, e lei esperto di economia questo dovrebbe spiegarci nei suoi articoli, mentre lo Stato vieta ai datori di lavoro privati di stipulare contratti a tempo determinato per non più di tre anni per poi convertirli in contatti permanenti, a noi precari lo stesso Stato ce ne stipula a oltranza? Noi riteniamo che sia intollerabile che il nostro paese, incoraggiato da benpensanti, non mantenga gli impegni assunti e non dia credito neanche alle sue stesse capacità di selezionare il personale docente. I nuovi metodi di reclutamento da lei suggeriti negano diritti, priorità e legittime aspettative professionali ed umane a quanti invece hanno dato credito allo Stato italiano. La decisione di non avvalersi più dei titoli culturali e dell’esperienza didattica di quanti sono in graduatoria anche da decenni e hanno prestato servizio con merito e abnegazione è una stoltezza che contribuirà ad abbassare ulteriormente la qualità della scuola pubblica. In nessun altro paese del mondo legislatori assennati potrebbero concepire una scuola che prescinda dalle conoscenze riconosciute e dall’esperienza dei propri insegnanti. La risibile giustificazione addotta è quella di abbassare l’età media del personale docente, come se i precari nascessero già vecchi invece di essere invecchiati nella scuola, consentendole di funzionare, prima di ricevere, come regalo di fine anno e ogni anno, il licenziamento estivo. Questi docenti sono diventati precari perché vittime dell’inettitudine e della miopia di una classe politica responsabile delle continue revisioni normative che hanno, più volte, provocato ribaltoni, scavalcamenti e sovvertimenti delle graduatorie. La stessa che, nel frattempo, ha costretto i precari a sottoporsi a ripetute e diversificate prove concorsuali nelle quali, comunque, sono stati riconosciuti i loro meriti e raramente i loro diritti. A queste prove si deve aggiungere l’esperienza pluriennale accumulata con il servizio prestato, spesso nelle forme e nelle sedi più disagiate. E che dire della formazione degli insegnanti? Da alcuni anni è affidata a scuole, cosiddette di specializzazione, nate in seno alle università dove lei lavora e costituite con il malcelato proposito di finanziare gli atenei, lucrando sulle aspettative occupazionali dei giovani aspiranti insegnanti. Alla contestabile selezione in entrata e in uscita di questi percorsi abilitativi si aggiunge anche la supponenza dei formatori che, nei fatti, non hanno alcuna familiarità con la scuola militante e si limitano ad arabescare nell’aria astratte teorie di pedagogia e di didattica. Noi siamo del parere che finchè non sarà la scuola stessa, nelle sue migliori e più esperte componenti, a preparare gli insegnanti di domani noi non avremo una scuola di qualità. Ma per rilanciare la scuola bisognerebbe investire e non tagliare. Farlo una prima volta rilanciando la qualità, la meritocrazia e la competitività sulla scorta di regole coerenti e chiare ( crede davvero che i Dirigenti ne siano capaci? ) Una seconda volta garantendo la continuità didattica con la stabilizzazione del personale docente. Senza ricercare inutili aloni di santità.
C.I.P. – Comitati Insegnanti Precari
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