Cresce la richiesta di diplomati,
ma si fa ancora attendere un riordino strutturale del sistema
Istruzione tecnica da rilanciare.
Riforma per gettare un ponte tra formazione e
professione
ItaliaOggi
del 4/1/2008
La storia del nostro paese lo insegna: i tecnici
di primo livello italiani sono stati una delle leve fondamentali per
la crescita economica del dopoguerra. Ma se i periti industriali del
XX secolo hanno fatto grande l'Italia, oggi questi tecnici superiori
sono assenti e le imprese li cercano disperatamente sia come
dipendenti sia come liberi professionisti. Basta scorrere le pagine di
qualsiasi quotidiano per trovare scritti slogan di tutti i tipi: «Le
imprese sono affamate di periti», «le aziende cercano tecnici
diplomati», «senza periti non c'è industria». E non si parla solo di
assenza, perché la denuncia è rivolta anche al mondo scuola: «È
necessario ripartire dalla riforma degli istituti tecnici», si grida
da anni, perché senza formazione tecnica adeguata il nostro paese
perde competitività rispetto ai mercati europei e internazionali.
Ebbene, che cosa si sta facendo in concreto per dare risposte adeguate
a queste grida di allarme? Poco e niente, verrebbe da dire. Perché se
è vero che mancano i professionisti qualificati, come mai non si fa
nulla per tappare questa falla? E se la scuola, ormai è chiaro, non
riesce a fornire ai giovani una preparazione adeguata, perché si tarda
tanto per realizzare una riforma strutturale del sistema e in
particolare degli istituti tecnici?
Che vada fatta al più presto ne è pienamente consapevole anche il
presidente del consiglio, Romano Prodi, quando in occasione degli
stati generali sull'istruzione tecnica e professionale dello scorso
maggio ha ribadito con forza che «l'urgenza di una riforma concreta
dei percorsi scolastici non è solo un fatto astratto o di
compiacimento ma la necessità di un sistema economico che senza
formazione professionale va sicuramente in malora. Se tardiamo ancora
avremo un buco di 20 anni, mancherà una generazione di periti
industriali, cioè i protagonisti dell'industria italiana del XX
secolo».
Del resto, che sul fronte dell'istruzione fosse necessario voltare
pagina lo ha sottolineato anche il ministro dell'istruzione, Giuseppe
Fioroni, quando ha sottolineato che «per questo tipo di formazione in
Italia si deve colmare un ritardo di decenni e un gap di
professionalità che costringe ogni anno le imprese italiane a cercare,
senza trovarli, 500 mila giovani con qualifiche tecnico-professionali
e 80 mila super periti».
Ma non solo Fioroni, perché a parlare della necessità di rilanciare
l'azione educativa è stato, poi, il governatore della Banca d'Italia,
Mario Draghi, che ha riservato ai temi dell'istruzione una grande
attenzione. Draghi vede la grande licealizzazione spacciata come
«promozione sociale», mentre occorre che il diploma rilasciato dagli
istituti tecnici abbia un contenuto professionale reale spendibile nel
mercato del lavoro. «Se ieri», ha ribadito, «i periti erano i quadri
delle grandi imprese e, spesso, gli imprenditori delle piccole, oggi
non si può dire lo stesso».
Di emergenza dell'istruzione tecnica ha parlato anche Gianfelice
Rocca, vicepresidente di Confindustria con delega per l'education, che
«ha evidenziato la necessità di aggiornare i programmi e gli indirizzi
degli istituti tecnici per far fronte alle necessità del nostro paese
dove l'economia è fatta al 95% da piccole e medie imprese». «L'Italia
è stata fatta dai geometri, dai ragionieri e dai periti industriali»,
ha detto invece più volte in occasioni diverse Giuseppe De Rita,
presidente del Censis, e «queste persone, iscritte o meno agli albi,
sono stati gli unici veri professionisti italiani». Quindi, tante voci
dal coro che portano a una considerazione unanime: se l'Italia vuole
continuare a crescere bisogna tornare a far crescere i tecnici. E
questo lo si potrà fare solo effettuando al più presto una profonda
riforma degli istituti tecnici che dovrà fornire una base tecnica e
professionalizzante agli studenti, da completare nel triennio
universitario. Insomma, come sostiene il Consiglio nazionale dei
periti industriali, «più tecnici, più sicurezza, più sviluppo». Del
resto, per formare i tecnici del XXI secolo i percorsi formativi
devono non solo essere fondati su solide conoscenze scientifiche e
tecnologiche ma anche rispondere, in modo organico, ai bisogni della
società italiana. È dunque necessario immaginare e realizzare uno
sforzo comune che coinvolga pubblico e privato, un piano nazionale per
la formazione continua che coinvolga direttamente i Consigli nazionali
delle professioni tecniche.
Ecco perché il Cnpi ha espresso pubblicamente il proprio apprezzamento
al progetto di legge per la riforma delle professioni degli onorevoli
Mantini e Chicchi, che, oltre al noto articolo 5, relativo
all'istituzione dell'Ordine dei tecnici laureati per l'ingegneria,
contempla gli articoli 16 e 17 rispettivamente su «tirocinio ed esami
di stato» e «scuole di formazione e corsi di aggiornamento
professionale». Si tratta di due punti che qualificano la professione
del neoperito industriale, con la possibilità per il proprio Ordine di
autoregolamentarsi, e soprattutto di un progetto a costo zero per le
casse dello stato.
L'articolo 16 prevede un periodo di pratica professionale (tirocinio)
non superiore a due anni svolto sotto la responsabilità di un
professionista iscritto all'albo, anche se effettuato presso
amministrazioni, società e aziende che svolgono comunque attività nel
settore di riferimento della professione. Per il tirocinante è
previsto un equo compenso.
L'articolo 17 stabilisce che gli ordinamenti di categoria possono
istituire apposite scuole di alta formazione per professionisti e
tirocinanti. Tali scuole possono essere convenzionate anche con
amministrazioni pubbliche, istituti di formazione, casse di previdenza
e associazioni di professionisti. È previsto che i ministeri
dell'università e dell'istruzione riconoscano con decreto i titoli
rilasciati dalle scuole ai fini della formazione e dell'ammissione
all'esame di stato per l'esercizio della professione. Saranno poi gli
stessi Ordini di categoria a stabilire i criteri per la formazione ai
fini del tirocinio e per l'aggiornamento professionale periodico dei
propri iscritti. Questo potrebbe avviare, nell'immediato, un processo
di riforma complessivo che abbracci il mondo delle professioni
tecniche con quello dell'istruzione e dell'università, per far sì che
i nostri giovani tecnici tornino a essere competitivi. Una
competitività che si può ottenere solo assicurando la massima
competenza della propria formazione, che si acquisisce solo con un
sistema di istruzione adeguato, attraverso una riforma strutturale e
omogenea che realizzi un ponte lungo tra formazione e professione.