Comuni in difficoltà su scuole e servizi sociali

Precari,
il governo ha sorpassato a sinistra i sindacati.

Le organizzazioni di categoria contestano le norme
che introducono la stretta sui contratti a termine

 da ItaliaOggi dell'8.2.2008

 

Il legislatore ha superato a sinistra gli stessi sindacati nella sua scelta di stringere a maglie rigidissime i vincoli sul ricorso alle forme flessibili di lavoro, nella pubblica amministrazione.
Come riferisce ItaliaOggi (si veda il n. dell'1/2/2008, pag. 20), il giudizio dei sindacati sulla riforma del lavoro flessibile nella p.a. «è negativo».

La pietra di scambio delle stabilizzazioni, in effetti, è sin troppo pesante: la sostanziale e generalizzata impossibilità di ricorrere al lavoro a termine o a forme flessibili. A prescindere dalla valutazione dei casi e delle necessità di flessibilità organizzativa, che, pure, solo fino a pochi mesi fa era lo slogan dominante, per la gestione delle amministrazioni.

È chiaro anche alle organizzazioni sindacali, che, pure, dovrebbero vedere di buon occhio ogni misura normativa tesa a privilegiare, sempre e comunque, il lavoro a tempo indeterminato, che la riforma degli articoli 7, comma 6, e 36 del dlgs 165/2001 ha un che di integralismo.

Sindacati e Anci hanno fatto presente, per esempio, come risulti irrazionale sostituire con contratti di soli tre mesi le educatrici degli asili nido, se assenti per motivi diversi dalla maternità, pur dovendo assicurare continuità al servizio. Una continuità che risulta non solo necessaria per ragioni organizzative, ma anche perché i destinatari, i bambini, è opportuno siano seguiti il più possibile dalle medesime figure che li accompagnano nella crescita.

Ma gli esempi possono estendersi a tutti i servizi da assicurare con indispensabile stabilità e continuità, soprattutto nel campo sociale: si pensi agli assistenti sociali, operanti anche presso le aziende sanitarie, agli orientatori, agli insegnanti dei centri di formazione professionale.

Solo interpretazioni estensive e non ristrette alla sola lettera del dpr 1525/1963 sul lavoro stagionale, possono consentire ai comuni, per esempio, di considerare stagionale l'attività della polizia municipale, o alle aziende di promozione turistica quella degli addetti agli sportelli di accoglienza turistica, per effettuare assunzioni legate a fabbisogni flessibili, ma di durata più lunga del capestro dei tre mesi. Ma, non è detto che simili interpretazioni potranno essere fatte proprie, in particolare dalle sezioni della Corte dei conti.

Non solo il lavoro a termine pare sia stato limitato in modo acritico. Anche la previsione della necessità della laurea per gli incarichi appare una restrizione posta in essere anche a causa della non precisa conoscenza dei servizi e dei bisogni che rendono gli enti locali.

Moltissimi sono i comuni e le province che gestiscono direttamente centri di formazione professionale o scuole professionali, di musica, di arte, che forniscono opportunità di istruzione e formazione a migliaia di persone.

L'iperspecializzazione professionale di tali scuole esclude, di fatto, la possibilità di reclutare i docenti mediante forme di lavoro subordinato o attraverso la somministrazione: spesso, infatti, si tratta di liberi professionisti, come falegnami, operai specializzati, musicisti, massoterapisti, addetti al salvamento nelle spiagge. È inimmaginabile gestire una scuola di musica senza un docente che sappia suonare e insegnare gli strumenti, o una scuola professionale sulla meccanica, senza un operatore specializzato che conosca il funzionamento di macchine industriali.

È altrettanto evidente, però, che non sempre questo genere di professionisti, o artigiani che sottraggono tempo al loro lavoro autonomo per insegnare nelle scuole degli enti locali, dispongano della laurea.

La riforma dell'articolo 7, comma 6, del dlgs 165/2001, se letta in modo radicale, invece, taglia fuori gli enti locali dalla possibilità di reclutare questi professionisti. Che sono migliaia, ma, probabilmente, non in numero tale da costituire una «massa critica», che il legislatore potesse prendere in considerazione per meglio dimensionare il proprio intervento di razionalizzazione del ricorso al lavoro flessibile nella pubblica amministrazione.

Eppure, mantenendo il collegamento tra lavoro pubblico privatizzato e disciplina del lavoro flessibile nel settore privato, anche nella pubblica amministrazione avrebbe potuto trovare applicazione la riforma del dlgs 368/2001, disposta dalla legge di approvazione del protocollo sul welfare. Che ha previsto un equilibrato limite ai contratti a tempo determinato, di 36 mesi.

Basterebbe poco per estendere anche alla pubblica amministrazione strumenti indispensabili, per rendere elastica ed efficiente l'organizzazione degli enti, così da farli competere nel mercato. E, per garantire che gli enti pubblici non ripetano gli abusi al ricorso di lavori flessibili, per fare fronte a fabbisogni, invece, stabili, accompagnare le misure sul lavoro a termine di cui alla legge 247/2007, con sanzioni precise a carico delle amministrazioni e dei dirigenti responsabili di illeciti concatenamenti di contratti flessibili.

L'organizzazione pubblica, ancora una volta, non ha saputo resistere alla tentazione delle scelte radicali. Passando, così, da un regime di incontrollato ed eccessivo utilizzo del lavoro a termine, delle co.co.co. e delle consulenze a un sistema vincolistico, intriso di controlli solo formali (le pubblicazioni sui siti web dei provvedimenti di incarichi professionali). Che, forse, risolve il problema del precariato pubblico, ma ha aperto nuovi difficili scenari relativi all'efficienza dell'amministrazione pubblica nel suo complesso.