Regole nuove
per il reclutamento dei docenti.
Pasquale Almirante,
La Sicilia del
18.2.2008
Se tutti i lavori sono valutabili, perché quello
dell’insegnate non è tale? E perché di fronte a insuccessi evidenti di
molti alunni non si riescono spesso a trovare altre cause che non
siano gli abusati sociologismi? Con ogni probabilità i troppi
fallimenti dell’istruzione bivaccano in diversi falò i più evidenti
dei quali sono l’incertezza legislativa e normativa e il reclutamento
dei docenti.
Nell’arco di 10 anni sono cambiati 4 ministri della Istruzione ognuno
dei quali è stato latore di un proprio progetto educativo che ha
stravolto regolarmente il lavoro del precedente, con tenacia e
voluttà. Dal punto di vista legislativo e normativo ciascuno ha
portato, su spinta della propria parte politica, la visione del mondo
che gli apparteneva con la chiara evidenza della omologazione
culturale sul falso preconcetto che finora la cultura sia stata
monopolizzata dalla sinistra tanto che Berlusconi individua nella
scuola un potere forte.
Ricordiamo a titolo di esempio la possibile scelta della formazione
professionale già a conclusione del primo ciclo per i ragazzi non
particolarmente brillanti e il diritto-dovere all’istruzione della
Moratti, in contrapposizione al biennio comune ma obbligatorio fino a
16 anni che fu di Berlinguer e poi pure di Fioroni. Se si capisce
questa differenza di visione del mondo (Weltanschauung) forse ci si
rende conto che il mito fratricida di Romolo e Remo segni e insegua
ancora la nostra nazione come lo spettro di Banquo.
Dal punto di vista del reclutamento dei docenti si è assistito, sempre
da una decina d’anni, a un conflitto grottesco tra Siss da una parte,
abilitate ad abilitare gli aspiranti professori dietro esborsi
gravosi, e i concorsi a cattedra dall’altra, il tutto condito da
ricorsi, punteggi ballerini e precarietà perché l’uno accampava più
diritti degli altri con in mezzo i cosiddetti precari storici.
Il nuovo ordinamento universitario del 3+2 ha poi determinato
l’ingolfamento più becero perché, secondo l’idea di Moratti, i primi
tre anni servivano come preparazione e i due successivi come
specializzazione all’insegnamento e l’aspirante docente non doveva
fare altro che attendere la chiamata diretta dalla scuola.
L’arrivo di Fioroni da un lato ha confermato il 3+2 e dall’altro ha
preteso, dopo i 5 anni, il concorso a cattedra biennale per accedere
all’insegnamento ma sulla metà dei posti realmente disponibili perché
l’altra metà sarebbe stata riservata alle graduatorie a esaurimento:
una speranza ai precari storici e una ai neolaureati. Di questi giorni
una nota di Valentina Aprea riapre il dibattito in vista di una
possibile rivincita del centrodestra. Tre sembrano le parole d’ordine:
merito, autogoverno, apprendimento e spiccia chiaro l’assunto: le
scuole in piena autonomia devono scegliere i docenti da albi regionali
appositi e deve nascere contestualmente una autorità che valuti la
qualità di ogni singola istituzione.
«Da noi, per colpa di una politica del personale basata sui concorsi
burocratici, su infinite graduatorie di precari e bassi stipendi e
scarsa produttività, si è realizzato un mix estremamente negativo»,
dice l’Aprea. «Serve un nuovo meccanismo di reclutamento,
ripristinando il decreto n. 227/05 di Moratti, che Fioroni ha
abrogato». Chiarissimo e a cui fa da controcanto Giuseppe Valditara di
An: «Aumenti significativi di stipendio devono essere legati al
merito.
La demagogia sessantottina ha spazzato via l’istituto del merito
distinto. Si devono pagare di più gli insegnanti sulla base della
preparazione e dell’impegno». Nessuno dei due però ha detto
chiaramente cosa fare di quei 150 mila precari che il centrosinistra
aveva promesso di stabilizzare a trance di 50 mila l’anno, mentre la
scuola rimane un campo di battaglia fra opposte fazioni.