Quei bulli a scuola dolcetto o scherzetto?

Mario Pirani, la Repubblica del 4.2.2008

 

Nell'incapacità del governo Prodi di far comprendere i non pochi aspetti positivi del proprio bilancio spicca il silenzio sull'operato del ministero della Pubblica Istruzione. Eppure, sia Giuseppe Fioroni che la sua vice Mariangela Bastico, con una concordia esemplare tra un esponente di punta del popolarismo cattolico e una assessore ds dell'Emilia, hanno saputo imprimere alla scuola italiana l'avvio di una svolta attesa da anni. Le prime misure prese, dal prolungamento della scuola dell'obbligo all'inasprimento delle misure contro il crescente e devastante bullismo giovanile e, infine, all'arresto della deriva che permetteva di trascinare i "debiti" e l'accertata ignoranza di oltre il 40% degli alunni fino all'università, hanno rappresentato ben più di un elementare ritorno all'ordine dopo decenni di lassismo.

Esse hanno segnato un recupero di consapevolezza attorno alla questione centrale con cui ci si scontra: la soggezione di fronte alla caduta degli elementari principi dell'etica pubblica e privata. Troppe famiglie, vilmente complici, e troppi insegnanti, impauriti e resi scettici dalle tante frustrazioni, hanno rinunciato a trasmettere e imporre valori come il rispetto dei genitori, dell'altro, del diverso, dell'inabile o del debole, delle bambine e delle ragazze, dell'insegnante e della scuola, anche come edificio comune, infine dello studio. Lo smottamento ha portato a piegare le regole in maniera tale da renderle istituzionalmente corrive al loro svuotamento di senso (vedi il 6 rosso, il trascinamento dei debiti, l'abolizione del vecchio e temuto 7 in condotta).

Di conseguenza si è persa la concezione stessa di limite, il confine oltre il quale l'ignoranza non può essere premiata e il comportamento offensivo assolto in partenza. Fioroni e la Bastico hanno cominciato, appunto, a ripristinare un meccanismo di non scontata accettazione delle deficienze, delle infrazioni e delle violenze. C'è ora da chiedersi se la svolta impressa resisterà alla crisi del quadro politico o si tornerà al catastrofico laissez-faire inaugurato con l'abolizione degli esami di riparazione, durante il primo governo Berlusconi nel 1994. D'altra parte, se nella eguaglianza fra scuola e azienda (e, quindi, degli alunni come clienti, che hanno sempre ragione) si è distinta la destra, la sinistra post sessantottina non è stata da meno nell'inalberare il diritto alla promozione per tutti e alla rinuncia ad ogni punizione seria contro comportamenti intemperanti e violenti. Così è penetrato sia nelle famiglie che nel corpo insegnante un lassismo pedagogico devastante difficile da scalzare. Un esempio da manuale è ricavabile da un recente esempio locale, facilmente riconducibile, peraltro, a tanti casi similari. Nella scuola media di Porto Ercole (Grosseto) tre coetanei, davanti a una diecina di spettatori, hanno afferrato un ragazzino di dodici anni, il primo della classe, colpevole di aver opposto un rifiuto a chi voleva copiargli il compito, gli hanno infilato la testa nel water, lo hanno sputacchiato e, infine, tirato la catena. Nessuno dei compagni è intervenuto. La vicenda non meriterebbe di essere ripresa se non fosse, a mio avviso, anche più grave la risposta del preside che ha considerato l'episodio una semplice «bravata» e non un atto di teppismo, poiché «non preceduta da minacce e insulti». Quindi era bastata una lievissima punizione: tre giorni di sospensione... con obbligo di presenza a scuola per studiare la Costituzione.

Ma la cosa non finisce qui. Al ministero, dove ancora sussiste la vigilanza contro il bullismo introdotta da Fioroni con pesanti punizioni che possono arrivare all'allontanamento dalla comunità scolastica e alla non ammissione agli scrutini, soprattutto «quando siano stati commessi reati che violano la dignità e il rispetto della persona umana», è stato prontamente disposto un accertamento sulle decisioni del dirigente scolastico (alias preside). Ne esce un quadro desolante che riguarda sia i genitori dei colpevoli sia la «filosofia» del preside. I genitori negano la responsabilità dei figli, giungendo a sostenere che la vittima «già in precedenza e di sua spontanea volontà aveva introdotto la testa nel water». Chiacchiere tra ragazzi avrebbero portato poi, sostiene il preside, i tre alunni "puniti" ad emulare il gesto, non rendendosi conto della gravità dell'atto che avrebbero preso come un gioco. Evidentemente non si rende neppure lui conto che anche la «punizione» verrà intesa come un gioco, non avrà effetti dissuasivi ed, anzi, incoraggerà le frange più violente ad alzare la posta alla prossima "bravata". Non solo a Porto Ercole.