La ricetta Brunetta: da l'Unità, 13.12.2008 Fannulloni anche da “vecchi”. L’ossessione del ministro Brunetta per gli scansafatiche questa volta prende di mira chi avrebbe diritto ad andare in pensione. Soprattutto le donne. Quelle che magari è una vita che fanno tre lavori – i figli, la casa, i genitori anziani – e che andando in pensione qualche anno prima diventano un sostituto eccellente di quel welfare che non c’è. Ma per Brunetta chi non timbra il cartellino tutti i giorni, chi non ha la vita scandita dal ruotare di un tornello, va punito senza scrupoli. Il ministro è sconcertato «dallo spaventosamente basso tasso di occupazione italiano». Ma anziché pensare ai giovani, a quelli che un lavoro lo vorrebbero e non riescono a trovarlo, secondo lui «conviene» di più recuperare alla vita lavorativa attiva la cosiddetta terza età. Ha già calcolato che si recupererebbe un 10% di lavoratori, «significa 2-3 milioni di posti di lavoro in più, il che vuole dire incrementare il gettito fiscale e il Pil del Paese». L'invecchiamento attivo, sostiene ancora Brunetta, «è un bene pubblico e come tale occorre farne rilevare la convenienza e sostenerlo con gli opportuni incentivi, anche fiscali, e disincentivare le uscite precoci dal lavoro». Insomma è bene «non sprecare questo enorme serbatoio che sono gli anziani, la terza età, perché al di là di tutto conviene economicamente». Brunetta pensa soprattutto alle donne e prova a buttarla addirittura sull’eguaglianza: «Le donne – spiega – sono due volte discriminate. Sono discriminate nella carriera per l'interruzione legata alla fase riproduttiva. Sono discriminate nelle pensioni più basse legate all'aver smesso di lavorare prima». Esterrefatta la Cgil, secondo la quale il ministro, «dopo aver speculato sul pubblico impiego, vuole speculare anche sulle pensioni del pubblico impiego e questo non glielo permetteremo». La responsabile per le politiche della previdenza del sindacato, Morena Piccinini, non ha dubbi: altro che uguaglianza, «costringere le donne a lavorare fino a 65 anni significa punirle»: «Come del resto ha detto Sacconi – ricorda la Piccinini – l'età reale di pensionamento delle donne è più alta di quella degli uomini che grazie all'anzianità raggiungono la pensione prima delle donne. Solo l'8% delle donne arriva all'anzianità. Quindi i 60 anni sono l'unica prima uscita per le donne». La segretaria confederale ricorda poi la legge di parità tra uomini e donne del 1977 che permette alle donne «se vogliono di lavorare fino a 65 anni». «Mi pare - spiega - che Brunetta arrivi 31 anni dopo». «Il problema è un altro - conclude - ed è che le persone devono poter scegliere». Perfino dall’interno del Pdl fioccano critiche contro la sparata di Brunetta. Barbara Saltamartini, deputata di An e componente della commissione Lavoro della Camera dice che «prima di proporre la riforma dell'età pensionabile è più opportuno lavorare per una vera inclusione delle donne nel mercato occupazionale dando impulso a politiche di sostegno dei nuclei familiari e valorizzando le misure di flessibilità in grado di incidere sulla riorganizzazione del lavoro». Condanne le «fughe in avanti» del ministro anche il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, che ci tiene comunque a «non fare polemiche». «Le pensioni sono un tema delicato – dice – che non può essere utilizzato come uno spot pubblicitario, proprio per evitare allarmismi e fughe anticipate dei lavoratori».
Paradossalmente, a non storcere il naso è la neo Consigliera di
Parità, Alessandra Servitori. Chiede «calma e obiettività»
nell’affrontare l’argomento, ma sostiene che «il ministro Brunetta
pone dei problemi seri e reali». Per questo, dice ai sindacati, «non
sembra ne' utile ne' corretto contrapporsi a tali ragionamenti in
una logica di conservazione dell'esistente». La Servitori, di ruolo,
dovrebbe difenderle le donne. Ma questo è quello che succede nelle
istituzioni di controllo all’epoca del governo Berlusconi. Quando a
controllare la parità e i diritti delle donne, si mettono
consigliere personali dei ministri in carica. |