Cosa non va nell'operazione
recupero dei debiti?
di
Bruno Moretto* da
ReteScuole
del 12.4.2008
Con il Decreto 80 e l'OM 92 del 2007
l'attenzione della scuola superiore italiana viene portata sulla
necessità di verificare in tempi brevi le nozioni apprese dagli
studenti, accentuando le caratteristiche selettive di gentiliana
memoria.
I dati forniti dal Ministero e il confronto internazionale
evidenziano gravi problemi di orientamento dei nostri studenti, in
particolare nell'area scientifica, e la necessità di una riforma
complessiva che si basi su tempi distesi di apprendimento e su una
didattica laboratoriale.
Alcuni dati per inquadrare il problema
Per capire se un intervento è positivo bisogna
capire quali sono le cause del fenomeno su cui intende incidere.
In base ai dati forniti, il Ministero afferma che il 70% degli
studenti italiani che frequentano la scuola superiore ha avuto
almeno un'insufficienza negli scrutini di metà anno e che la media
delle insufficienze è stata di 4 ad alunno.
Intanto, occorre chiarire che il dato si riferisce solo agli
studenti insufficienti, non a tutti; in tal caso la media delle
insufficienze per alunno scende più correttamente a 2,7.
Inoltre il Ministero inserisce nel calderone delle insufficienze sia
quelle lievi (voto 5) che quelle gravi (sotto il 4).
Nella mia scuola, dotata di due indirizzi l'uno di liceo scientifico
e l'altro di scienze sociali, gli studenti con almeno
un'insufficienza grave (da 4 in giù) sono il 42%, quelli con più di
3 gravi solo il 7,6%.
Ridimensionato il fenomeno a numeri medi sempre rilevanti, ma più
comprensibili, salta all'occhio la differenza fra licei e istituti
tecnici e professionali.
Sempre considerando i dati ministeriali, negli Istituti tecnici la
quantità di insufficienti oscilla fra 57 e 62% nei professionali fra
76 e 80%. Se la media di insufficienze per indebitato nei licei è di
3, nei secondi supera i 4.
Ancora più interessante è l'analisi del Ministero sulla
distribuzione delle insufficienze per disciplina. Due i fatti
rilevanti:
1) il maggior numero di insufficienze si ha in
matematica (le percentuali degli insufficienti in tale disciplina è
in media del 62,4 % e si distribuisce in modo omogeneo in tutti gli
indirizzi). Anche tenendo presente che l'alta percentuale deriva
dalla sua presenza in tutti gli indirizzi, il dato conferma la
presenza di un problema specifico della nostra scuola nei riguardi
della cultura scientifica, che risale alla sua impostazione
umanistica;
2) la percentuale di studenti degli istituti
tecnici e professionali che hanno insufficienze nelle materie
tecnico professionali è rispettivamente del 88, 7 % e del 83,4 %.
Considerando la percentuale di insufficienti in questi ordini di
scuola (76,4 e 80 %), il numero complessivo di studenti
insufficienti in tali materie supera i due terzi.
Il fenomeno dell'enorme numero di insufficienze
nelle materie caratterizzanti gli indirizzi è però diffuso ovunque:
al classico la materia con il maggior numero di insufficienze è
latino, allo scientifico matematica, al linguistico le lingue,
all'artistico le discipline artistiche.
Il fenomeno evidenzia quanto meno un diffuso problema di
orientamento nella scelta, più che di natura disciplinare.
Il confronto internazionale
Andando oltre, osserviamo che nel 2005 il numero
dei bocciati in prima classe è stato del 18,4 %, il tasso di
abbandono dell'11%. Il tasso di abbandono nei cinque anni delle
superiori raggiunge il 22%.
Per capire di più, usiamo i dati della ricerca OCSE P.I.S.A, che
forniscono la percentuale di ripetenti presenti a scuola a 15 anni
nei vari paesi.
Ci sono una serie di paesi con una media di ripetenti del 5%
(Finlandia, Svezia, ma anche Inghilterra, USA e Canada), altri che
hanno una media del 20-25%, fra cui Italia 15, Germania 20,
Portogallo 28, Francia 38.
I primi paesi hanno un ciclo unitario fino a 16 anni i secondi sono
classificati a tre (come l'Italia) o più canali.
Canalizzazione precoce vuol dunque dire più selezione. Appare chiaro
che indirizzare a 13-14 anni gli studenti tronca troppo presto la
formazione di base, necessaria per affrontare le singole discipline
in modo approfondito.
Questo spiega sia l'alto tasso di selezione sia la predominanza
delle difficoltà di apprendimento nelle materie caratterizzanti gli
indirizzi.
I contenuti e la filosofia del Decreto 80/07
e dell'OM 92/07
Se questo è un primo dato di analisi della
situazione, occorre chiedersi se la risposta data dal DM 80 e dalla
OM 92 affronta tali problematiche.
Questi atti si basano sull'assunto che possano essere promossi solo
gli alunni sprovvisti di insufficienze e che allo scopo la scuola
deve organizzare corsi di recupero di almeno 15 ore una volta
accertata in sede di scrutinio intermedio e finale la presenza di
insufficienze.
La logica in cui si muovono i provvedimenti è quella del sistema
selettivo in vigore, che anzi viene accentuato dalla disposizione
che la presenza di almeno una insufficienza determina la bocciatura.
Tutte le energie e le risorse umane e materiali vengono utilizzate
per “eliminare” l'insufficienza al più presto.
La pretesa eliminazione della insufficienza equivale alla pretesa di
eliminare in 15 ore le differenze culturali, sociali e umane che ci
sono fra gli studenti.
L'insufficienza oggi non è altro che la certificazione delle
difficoltà di apprendimento disciplinare dello studente. La sua
certificazione non ha a che fare con una valutazione
dell'intelligenza dello studente o della sua predisposizione
culturale.
Con i provvedimenti suddetti l'attenzione viene invece portata sulla
presenza di un risultato specifico, predisponendo una procedura
amministrativa che orienta l'attività scolastica ancor di più sul
circolo vizioso di verifica, recupero, verifica, selezione.
La scuola italiana è caratterizzata da una successione continua di
momenti di verifica orale o scritta che occupa gran parte del tempo
scolastico. La parte predominante della preparazione e dello studio
è affidata all'impegno individuale.
L'apprendimento invece ha bisogno di tempi distesi, di momenti di
coinvolgimento degli studenti nelle attività, di costruzione insieme
agli studenti di percorsi di ricerca e scoperta.
La scuola italiana offre allo studente pagine di libri da studiare e
frenesia valutativa orientata a stabilire se si sono memorizzate le
nozioni impartite. Il suo impianto resta quello gentiliano.
E' interessante notare come gli studenti dei paesi che utilizzano
ciclo unitario e tempi distesi di apprendimento ottengono a 15 anni
(come nei test P.I.S.A.) risultati non solo superiori ai nostri, ma
superiori alla media di quelli dei paesi canalizzati, nonostante la
quasi totale assenza di selezione precedente.
Un provvedimento restauratore
Non è quindi un caso se l'OM 92/07 è stata
valutata da molti come un provvedimento restauratore: un tentativo
di tornare sotto mentite spoglie agli esami di riparazione soppressi
nel 1995.
A molti è sembrato che l'obiettivo esplicito sia quello di un
aumento del rigore e della selezione e quindi della diminuzione del
numero dei diplomati.
Poiché ciò contrasta con la previsione di una diminuzione del numero
delle bocciature prevista in finanziaria in conseguenza
dell'introduzione dell'obbligo di istruzione a 16 anni e con gli
impegni presi in ambito europeo per il raggiungimento di un numero
di diplomati dell'85% entro il 2010, (oggi i diplomati in Italia
nella fascia di età 20-24 sono il 75%) c'è da chiedersi quale sia il
senso di tale politica.
L'attenzione dei provvedimenti adottati non è mirata a intervenire
sulle cause della selezione, ma sulle forme del loro evidenziarsi.
Il messaggio a scuole e cittadinanza è che tale situazione è
determinata dal lassismo degli insegnanti e dei dirigenti e dalla
indolenza degli studenti e che ripristinando un po' di rigore si
risolveranno tutti i problemi della scuola italiana.
Resta il fatto che le scuole sono state investite dall'emergenza
corsi di recupero, che il Ministro stesso ha impostato in termini
amministrativo-burocratici, usando l'arma del comando gerarchico nei
confronti dei Dirigenti. L'effetto è stato che le scuole superiori
stanno utilizzando gran parte delle energie e delle risorse umane e
finanziarie per questo compito.
Di nuovo obbligo non si parla, di nuovo biennio neppure, men che
meno di rinnovamento della didattica, tutto finisce nel buco nero
del recupero delle insufficienze.
La necessità di una riforma complessiva
Io penso che occorra invece rimettere al centro
della discussione sulla scuola la necessità di una sua riforma
complessiva che sappia valorizzare i punti di forza del nostro
sistema scolastico, ad esempio il tempo pieno elementare, riaprire
la discussione sulla necessità di un biennio unitario, utilizzare i
risultati delle sperimentazioni per riformare la didattica in modo
da superare il modello gentiliano.
Dopo la Riforma della scuola media del 1963 non è più rinviabile il
ripensare il legame fra scuola media e superiore e, senza voler
entrare in questo contesto nel merito, occorre definire un biennio
unitario a carattere orientativo impostato sulle attività di
laboratorio, con tempi di apprendimento distesi, seguito da un
triennio di indirizzo differenziato per livelli, il cui modello non
sia più quello della classe, ma dei corsi.
All'interno di questa riforma occorre ripensare il ruolo della
matematica, che deve essere considerata a tutti gli effetti materia
formativa di base e il cui insegnamento deve uscire dalle secche del
formalismo nozionistico per evidenziarne le potenzialità di analisi
delle attività umane.
Di sicuro non è più accettabile che si sviluppino progetti di
riforma che partano dal palazzo della politica, senza coinvolgere
coloro che la scuola vivono e conoscono.
* Docente di Matematica e Fisica, Liceo
scientifico, Bologna.