"Deficienti in aula?
Non solo gli scolari".
Le carenze e il disimpegno raccontati
dall'insegnante denunciata da un genitore: «Abbiamo dimostrato che
impegnarsi non serve»
Stefania Miretti, La Stampa del
6/9/2007
INVIATA A PALERMO
Prof, le dicono, ha presente cosa guadagna un calciatore? Lei che ha
studiato, quanto piglia? «A fine carriera, non arrivo a 1800 euro al
mese». Seduta sull’unico divano angolare d’un piccolo soggiorno,
ultimo piano di un palazzone di Palermo, c’è la prof che lo scorso
giugno fu rinviata a giudizio per aver imposto a un allievo bullo di
scrivere cento volte «Sono un deficiente» (lui, veramente, scrisse
deficente, senza la i). Ha passato parte dell'estate a respingere le
avances dell’intero palinsesto televisivo italiano - ah, non fatelo
sapere ai suoi alunni! - e ora prepara la ripresa delle lezioni
«sperando che tra tre anni mi lascino andare in pensione». Mica per
mancanza di passione, però. E' che la scuola dei deficienti logora. E
ci sono momenti - per esempio quando un genitore risponde alla
richiesta d'intervenire sul figlio indisciplinato alzando le spalle e
sbottando: «Prof, ma lei lo sa quel che c'è al Malaspina?» - in cui
viene voglia d'arrendersi: «Perché Malaspina è un carcere minorile,
capisce? E allora, dopo un paragone così, cosa ci possiamo ancora dire
io e quel padre?». Occorre qui fare un passo indietro per ricordare
che una prof vecchio stampo, con cattedra di italiano, storia e
geografia alle scuole medie fin dal 1973 e una sfilza d’incarichi in
zone disagiate, non usa le parole pur che siano; e quando dice
«deficienti» intende esattamente «mancanti, che presentano carenze».
Come quei ragazzini che, impedendo a un compagno più piccolo d’entrare
nel bagno dei maschi, avrebbe per l'appunto «dimostrato di mancare di
solidarietà, rispetto per l'altro, senso della legalità».
Impegnarsi? Non serve
Vista con il rigore dell’etimologia, oltre che con gli occhi
dell’insegnante di Palermo, la scuola italiana degli ultimi anni è
dunque parecchio deficiente. Nella scuola media in cui insegna la
prof, per dire, manca pure il riscaldamento: «Una storia complicata.
L’edificio, parecchio fatiscente, è della Curia, e con il Comune si
palleggiano la responsabilità di fare i lavori di ristrutturazione»,
spiega lei. Perché stupirsi, allora, se ci sono famiglie che la palla
sanno solo lanciarla, ritenendo che una prof sia pagata non già per
insegnare la grammatica e le guerre puniche, ma per fare la
baby-sitter? Ma procediamo con ordine nell’inventario: deficienza
numero uno? «Abbiamo permesso che si facesse largo nella società
l’idea che studiare non serve a niente. Quanti sono veramente convinti
che la cultura sia ancora uno strumento di promozione sociale? Non i
ragazzini, naturalmente. Non i genitori, spesso. E a ben vedere
neppure gli insegnanti: di fronte ai miei allievi che hanno il mito
del calciatore e della velina e mi dicono “prof, lei parla parla, ma
le strade sono piene di diplomati”, io replico, ci mancherebbe, ma so
che i miei sono argomenti che lasciano il tempo che trovano. Perché
questo abbiamo dimostrato ai più giovani: impegnarsi non serve. Ed è
una responsabilità che dobbiamo assumerci tutti quanti, perché i
ragazzini si sa che ci provano, ma gli adulti?».
I genitori, per esempio. «Giustificano tutto. Se il figlio non ha
fatto i compiti, se si comporta male, se quel giorno non gli va
d’andare a lezione. Ci sono famiglie che arrivano a produrre
certificati medici per assenze non dovute a malattia. Quando li
convochi per parlargli di un deficit d’impegno, allargano le braccia e
rispondono: "Io glielo dico di studiare, ma che ci posso fare?" Vuol
sapere qual è la risposta più frequente delle mie allieve, quando dico
loro che sarebbe meglio non venire a scuola in abiti da spiaggia?
“Prof, non mi dice niente mia madre e me lo viene a dire lei?”. Non
parliamo poi delle superiori, il regno della compiacenza, coi ragazzi
che entrano, escono, si giustificano dicendo “avevo un impegno”, con
la scusa che tanto hanno compiuto i diciotto anni... Una volta poteva
accadere che la bocciatura scatenasse una reazione nelle famiglie, non
foss’altro che per la prospettiva di dover mantenere il figlio un anno
in più, acquistare nuovi libri... Ora non si boccia più, e nessuno si
pone il problema. Il ministero ci dà dei parametri minimi e massimi,
ma anche chi sta sotto quelli minimi viene promosso lo stesso. E se
questo è il messaggio, come se ne esce? Vuol sapere com'è iniziato
tutto?». Dica lei, prof. «Lasciando correre. Siamo una società che
lascia correre, quando basterebbe che ciascuno facesse la sua parte.
Lasciano correre le madri, poverette: magari lavorano tutto il giorno,
alla sera sono sfinite e non hanno più la forza di fare discussioni.
Lasciano correre gli insegnanti, poveretti, perché sono frustati dalla
difficoltà di farsi ascoltare, oberati dalla burocrazia, consapevoli
di non poter più reagire, stritolati come sono tra il genitore che
arriva urlando e il preside che allarga le braccia - guardi quel ch'è
accaduto a me - o magari perché la scelta d'insegnare è vissuta come
una specie di ripiego». Ecco: deficienti anche gl’insegnanti? «In un
mondo del lavoro così incerto, il nostro è rimasto uno dei pochi posti
fissi relativamente facili da ottenere. Oggi un giovane dice: intanto
prendo questo stipendio, che è basso ma sicuro. Poi mi dò da fare per
trovare altri lavoretti». E li trovano? «Penso di sì».
I classici perduti
La prof non è un’ingenua: «Ho cresciuto due figli, con grandi
sacrifici li ho mandati a specializzarsi all’estero. Mi hanno dato
soddisfazioni. Però... quando avevano l’età dei miei allievi, comprai
loro tutti i classici della letteratura per ragazzi, poi capii che non
li avrebbero letti e dovetti proporre letture più veloci, capaci di
attirare la loro attenzione». Che le nuove generazioni crescano senza
aver letto Pirandello o i romanzieri russi, insomma, la prof l’ha
messo in conto, senza scandalo, da tempo; piuttosto è lei a
scandalizzare la giornalista: «Ma guardi che le ultime leve
d’insegnanti sono già cresciute dentro quella logica lì!». E hai
voglia a progettare il ritorno alle tabelline e alla sintassi, la prof
prende atto della svolta Fioroni e non è certo contraria - «si
sprecano tanti soldi in progetti e progettini inutili, ci si chiede di
essere tutto, quando sarebbe già tanto poter insegnare bene le nostre
materie...» - ma si permette di dubitare: «Oggi non è più possibile
dire ai ragazzi: spiego la lezione in classe fin qui e poi voi leggete
a casa le dieci pagine successive. Anche il più brillante tornerà il
giorno dopo dicendo: “Non ho capito”. Nel nostro mondo veloce, è
diminuita la capacità di concentrarsi sulla pagina scritta. Aggiunga
che dalle elementari ci arrivano ragazzini che non hanno imparato a
leggere...». In che senso, scusi? «Nel senso che non sanno leggere».
Sarà per questo che la cosa più eccezionale accaduta alla prof l’anno
scorso non è essere finita su tutti i giornali, quanto l’aver
terminato il programma di storia con la sua terza: «ogni tanto
succede. Sono soddisfazioni, sa?».