Specializzandi o ragazzi di bottega?

 Mario Pirani la Repubblica del 22/10/2007

 

Non c'è leader politico, documento programmatico di partito, dichiarazione di intenti di destra o di sinistra che non ribadisca l'esigenza di incrementare la formazione qualificata delle giovani generazioni. A forza di ripeterla, senza un seguito pratico, questa asserzione si è tramutata in una giaculatoria a cui nessuno più crede.

Tanto più quando gli atti vanno in senso opposto. Un caso fra i tanti mi è stato fornito da un gruppo di medici specializzandi che mi hanno esposto le condizioni dei 25.000 giovani laureati della categoria (hanno anche un organo di collegamento, il Sims e un sito: www.sims.ms).

Sono loro che nel prossimo futuro avranno nelle mani la salute degli italiani e la ricerca medica nel nostro Paese. Ecco come vengono trattati dopo 6 anni di corso di laurea (che per i più diventano 7 od 8) e le prove di tirocinio per l'abilitazione. A questo punto, se vogliono aprirsi una decente prospettiva di lavoro, debbono specializzarsi, dato che non esiste più un settore pubblico della professione non suffragato da un percorso specialistico. Persino il medico di base, per essere convenzionato col Servizio sanitario nazionale, deve aver superato un corso triennale di «medicina di famiglia». Ma non è così facile. I posti nei corsi di specializzazione spesso non rispecchiano il numero dei concorrenti, per cui vi è un'aliquota destinata ad un attesa prolungata. Inoltre i concorsi, che dovrebbero essere collegati ai tempi dell'anno accademico, hanno invece cadenze assolutamente incerte. Il ministro della Ricerca e dell'Università, Fabio Mussi, ad esempio, aveva assicurato che entro novembre le prove sarebbero state bandite, ma poi non se ne è saputo più nulla e i funzionari interrogati adombrano l'ipotesi di febbraio o marzo.

Ma questo è il meno. Nel 1991 l'Unione europea, allora Cee, impartì una direttiva agli Stati membri per favorire la formazione dei giovani laureati. I laureati in via di specializzazione che operano negli ospedali avrebbero dovuto essere riconosciuti come medici in formazione, avere un contratto con uno stipendio minimo, la previdenza, l'assicurazione malattie, la maternità.

Troppo bello per esser vero. Almeno da noi. I governi italiani, quale che fosse la maggioranza, si sono ben guardati per anni dal recepire la direttiva di Bruxelles. Nel frattempo agli specializzandi veniva conferita una misera borsa di studio di circa 960 euro mensili, senza alcun riconoscimento di orario, maternità e contributi previdenziali. Quel che è peggio venivano e vengono utilizzati come manovalanza di supporto alle carenze di organico degli ospedali universitari. Invece di assicurare a tempo pieno la loro preparazione in contatto col malato vengono trattati non di rado come «ragazzini di bottega» dai baroni dei nosocomi, utilizzati come infermieri, portantini, attendenti del primario (è capitato a me di constatare di persona come due specializzandi venissero incaricati ogni mattina di presidiare davanti ad un padiglione dell'Umberto I di Roma lo spazio per il parcheggio del loro capo). Spesso la notte sono lasciati soli di guardia, col supporto di un numero di telefono per raggiungere il collega di ruolo in caso di necessità (malgrado il regolamento reciti che il medico in formazione non possa sostituire il personale regolare ed, anzi, la sua attività si debba svolgere con l'assistenza di un tutor).

Comunque nel 1999 venne approvata una legge che riconosceva per gli specializzandi il contratto di formazione-lavoro (oggi formazione specialistica), ma, con i tempi della nostra burocrazia, essa è entrata in vigore il primo novembre 2006 e solo nell'agosto del 2007 - ben 16 anni dopo la direttiva europea - sono stati firmati i primi contratti a una parte cospicua (non ancora a tutti) dei 5000 specializzandi dell'ultimo concorso, cui è assicurato uno stipendio di 25.000 euro lordi l'anno. Dopo tanta attesa, viene stappata qualche bottiglia di spumante. Ma, poi, passa un mese, ne passano due, ne sta per scadere il terzo, ma gli interessati non vedono traccia di emolumenti e non è loro stato richiesto neppure un recapito bancario dove versarli.

I motivi di inquietudine non si fermano qui. Quando firmeranno gli altri all'incirca 20.000 specializzandi (la legge riguarda come è naturale tutta la categoria) entrati con i concorsi precedenti e che seguitano a ricevere il misero trattamento di borsisti, di cui nessuno parla? Si incrociano in questa penosa vicenda tutti i «topos» tipici della vulgata politica italiana: la condizione dei giovani, il precariato, la formazione e, infine, l'Europa. Su nessun punto le parole corrispondono ai fatti.