Quelli che la scuola se la fanno da soli.
Si diffonde anche in Italia la scelta di
istruire i figli a casa.
«Una possibilità prevista dalla legge, ma ci perseguitano»
Raffaello Masci,
La Stampa del
15/10/2007
Marina ha sei anni, abita a Monte Colombo,
provincia di Rimini. Al mattino si alza, si lava, fa colazione e va a
scuola. Al pomeriggio fa i compiti, oppure svolge le attività
«extrascolastiche»: laboratorio, educazione motoria, una seconda
lingua straniera. In determinati giorni della settimana fa «attività
di socializzazione»: giochi nel parco, sport di squadra e simili.
Eppure da qualche settimana, esattamente da quando sono iniziate le
lezioni, i suoi genitori fanno fatica a sottrarla a controlli,
curiosità, diffidenze. Marina, infatti, insieme ad altri 12 bambini
del suo paese, non va in una scuola «come tutti», ma frequenta una
scuola che la legge definisce «paterna», cioè voluta, guidata e tenuta
dai genitori che sono anche i suoi maestri. Una stranezza?
Statisticamente sì: in Italia - eccetto un caso a Sant’Ilario d’Enza,
Reggio Emilia - scuole del genere non ce ne sono. Da un punto di vista
istituzionale, invece, no: la scuola paterna è prevista dai nostri
ordinamenti fin dalla riforma Casati (1859), è stata confermata da
Gentile nel ’23, dalla Costituzione nel ’48 e dalla riforma di
quest’ultima nel 2001.
Per i patiti del genere, aggiungiamo anche che la materia è regolata
da due decreti legislativi, tre circolari e due protocolli
esplicativi, l’ultimo dei quali del dicembre 2006.
Eppure il «caso Monte Colombo» sta facendo scandalo, al punto che i
signori B., genitori di Marina e coordinatori della scuola, respingono
garbatamente la visita del cronista: «Non vogliamo finire nel
tritacarne mediatico - spiegano - e vorremmo evitare a nostra figlia
invasioni nella sua vita quotidiana». In effetti - lamentano i signori
B. - contro la loro scelta si sta scatenando una persecuzione neppure
tanto velata. «Abbiamo allestito questa scuola secondo quanto prevede
la legge, e cioè dandone comunicazione ai carabinieri, al direttore
didattico di zona e al Comune». Ma poiché nessuno sapeva come
comportarsi, c’è stato uno scaricabarile incrociato: le autorità
scolastiche hanno incaricato il Comune di compiere un sopralluogo per
verificare la cosa, il Comune ha chiesto consiglio al Prefetto, il
quale - per trarsi d’impaccio - ha attivato una ispezione. Come
conseguenza, Marina e i suoi compagni hanno i carabinieri in casa.
«Come tutte le novità, è inevitabile che la scuola paterna possa
generale diffidenze - spiega Gianni Vinciguerra, direttore del mensile
Tuttoscuola, che a questo tema dedica attenzione da anni - ma negli
Stati Uniti già negli anni Settanta c’erano 20 mila ragazzi che
frequentavano le homeschools. Il fenomeno è poi così cresciuto che nel
2003 il governo federale ammetteva 1.096.000 ragazzi in questo tipo di
percorso educativo e, a quanto si sa, con risultati eccellenti sul
piano della preparazione».
La citata esperienza di Sant’Ilario d’Enza, peraltro, fa testo in
questo senso anche in Italia. «La nostra scuola è attiva dal 1983 -
racconta Maria Bonaretti, mamma e docente - e oggi abbiano 70 bambini
alle elementari e 60 nelle medie. La nostra esperienza nasce
all’interno della comunità cristiana “familiaris consortio”: 350
persone alle quali ci siamo appoggiati per portare avanti la scuola.
Dalla parrocchia abbiamo affittato i locali, tra i membri della
comunità e tra gli amici abbiamo reclutato i docenti e le altre
professionalità necessarie. Tutto si basa su un volontariato molto
motivato e professionale, per cui i nostri figli-allievi sono molto
curati, accuditi e preparati. Tant’è che, mentre la legge prevede che
si facciano esami in scuole pubbliche solo in quinta elementare e in
terza media, noi abbiamo deciso di farli tutti gli anni perché
vogliamo una valutazione certa e condivisa».
Resta da chiedersi perché un genitore decida di farsi la scuola in
casa. La risposta, sia nel caso di Sant’Ilario che in quello di Monte
Colombo, è la stessa: il desiderio di dare ai figli una educazione
rigorosamente cristiana. Da qui l’appoggio esplicito dei vescovi
locali, ma anche le riserve di altri soggetti. «Non c’è dubbio -
commenta il sindaco di Monte Colombo, Simone Tordi - che le scuole
paterne siano perfettamente legali e che al Comune spetti solo di
verificare che esistano le condizioni perché un bambino possa ricevere
una istruzione conforme alla legge. Tuttavia qualche perplessità di
merito io ce l’ho: l’educazione di un figlio è una cosa molto delicata
che non credo si possa improvvisare sia pur per nobili motivazioni. I
genitori del mio Paese saranno in grado di provvedere? Solo questo mi
preme».
E comunque, da sempre, quando la scuola che passano lo Stato e il
mercato non piace, i genitori provvedono in proprio. A Catone il
Censore (234-149 a.C.), per esempio, quei maestri greci che andavano
di moda a Roma ai tempi suoi, non piacevano affatto, e anche lui fece
come i genitori di Monte Colombo e scrisse i «Praecepta ad Marcum
filium», una specie di enciclopedia «ante litteram» sulla cui base
tenere lezioni al pargolo. Anche lui fu criticato, ma le scuole
familiari hanno continuato ad esistere. La scrittrice Marguerite
Yourcenar, autrice delle «Memorie di Adriano», per dire, aveva una
cultura smisurata e parlava molte lingue, ma non aveva mai frequentato
una scuola, che non fosse quella di suo padre.