Un viaggio nella scuola italiana
attraverso gli occhi degli insegnanti, Lezioni dimenticate di un mestiere in prima fila. Cinzia Gubbini da il manifesto del 25/11/2007
La scuola è un luogo violentato: a fasi alterne se ne lodano i presunti meriti o se ne stigmatizzano i presunti difetti. Senza avere mai il tempo di immergersi in un ritmo lento e cadenzato, fatto di orari, campanelle, relazioni costruite lezione dopo lezione. Marco Imarisio, inviato del Corriere della Sera, nella prefazione del libro Mal di scuola (Edizioni Bur, euro 9,80) riconosce di non aver mai «dedicato un minuto» a riflettere sulla scuola prima di accettare, con qualche perplessità, la proposta del suo giornale: un'inchiesta sull'onda degli eventi che l'anno scorso hanno raccontato le scuole quasi come epicentro della microcriminalità o come ricettacolo di fannulloni. Un'ennesima appendice della «questione sicurezza». Ne è nato un viaggio vissuto attraverso gli occhi degli insegnanti. Imarisio è bravo a narrare storie e a tracciare profili. Anche in questo caso le biografie minime degli insegnanti assumono la potenza di una storia comune. Certo, si tratta della «crème» del corpo docente, inframmezzata dalla cronaca dei «casi disperati», quei professori finiti nel mirino degli ispettori ministeriali perché incapaci di svolgere il proprio lavoro. Ma a volte è proprio dalle vette o dagli strapiombi che si ha giusta visuale per rendere il senso di un paesaggio. Quasi tutti gli insegnanti che raccontano il loro quotidiano hanno scelto di svolgere la loro professione in contesti difficili e ai margini, nonostante avrebbero potuto aspirare a una carriera brillante. L'ingegner Francesco Saraceno stava per laurearsi in Ingegneria a Pisa. Finché suo padre, che aveva iniziato a fare l'imprenditore pieno di entusiasmo dopo una vita passata a insegnare Fisica, non viene ammazzato dalla 'ndrangheta. Oggi Francesco Saraceno insegna elettronica all'Itis di Reggio Calabria. Per qualche tempo si è portato dentro un rancore sordo verso tutti coloro che considerava destinati a diventare delinquenti o mafiosi. Sono stati i suoi colleghi a insegnargli il segreto più profondo del mestiere di insegnante: «Finché puoi, non devi sottrarti al tuo dovere». Anche Ciro Naturale, educatore nelle scuole di Barra a Napoli, poteva aspirare a sicura carriera. Nella camorra. Da ragazzino era bravo a menare le mani, e solo grazie all'incontro con insegnanti capaci di ascoltarlo è riuscito a laurearsi in Filosofia. Oggi lavora al progetto Chance, combatte contro la dispersione scolastica, ma vive in un basso di 16 metri quadrati.
Tutti gli insegnanti coinvolti raccontano però
il loro «mal di scuola»: la frustrazione di amare un mestiere e
sentirsi presi in giro. Da tutti. Le istituzioni latitanti; i genitori
che ti trattano come un nemico; a volte persino i colleghi. Eppure,
persino tra questi bravi insegnanti, sembra prevalere un sentimento di
sfiducia nei confronti dei propri ragazzi. Più di una volta li
raccontano come apatici, ignoranti, depoliticizzati. Eppure non
convince il ritratto degli adolescenti traviati dal telefonino o da
YouTube. Dove sembra invece di poter scorgere una generazione forse
poco avvezza a «stare insieme», ma certamente - e finalmente - molto
meno ideologica del passato, più abituata a vivere vicino al diverso
(con il naturale crescere della percentuale di intolleranze),
competente in linguaggi molteplici. Semmai è interessante ascoltare
come tutti gli insegnanti di Mal di scuola mai e poi mai affermano che
«regole» e «legalità» significhino non assicurare una seconda
possibilità a chi sbaglia. Fino a qualche anno fa questo sembrava un
paradigma acquisito. Ultimamente, invece, la ricetta è tornare alle
tabelline e rendere la vita difficile ai «somari». Ma le scuole sono
come gli organismi viventi: per crescere hanno bisogno di ossigeno e
di relazioni con l'esterno. Altrimenti soffocano. E, come scrive
Imarisio, la scuola è il nostro canarino nella miniera.
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