L'INCHIESTA.
Sono i docenti titolari di corsi ma ingaggiati a contratto, spesso con
compensi minimi
Il boom degli ultimi anni.
Ma il decreto Mussi li ridurrà drasticamente: reggerà il sistema?
L'Università dei prof "esterni"
in molti atenei sono più della metà.
Massimiliano Papasso
la Repubblica,
19/3/2007
Il ministro Mussi
qualche settimana fa li ha definiti come "lo zoccolo duro
dell'università". Senza di loro molti rettori sarebbero costretti a
chiudere bottega e alcuni studenti molto probabilmente non potrebbero
nemmeno laurearsi. Eppure dal prossimo anno accademico, quella dei
docenti a contratto, sarà una figura destinata a ridimensionarsi
radicalmente nel panorama accademico italiano. Lo prevede il decreto
approvato in questi giorni e che fissa un tetto molto rigido
all'utilizzo dei cosiddetti "contrattisti": in pratica per ogni corso
di laurea, vecchio o nuovo che sia, le università dovranno garantire
che almeno il 50% del personale docente utilizzato per la didattica
sia di ruolo.
Stop quindi ad insegnamenti appaltati a personale esterno, esperti e
professionisti di vario genere che le università ingaggiavano con
contratti di diritto privato per poche centinaia di euro all'anno. Un
fenomeno che negli ultimi tempi ha fatto registrare un vero e proprio
boom dato che i docenti a contratto sono arrivati ad avvicinarsi
pericolosamente alla somma dei professori ordinari, associati e
ricercatori, a cui normalmente dovrebbe essere affidato il settore
della didattica nelle università italiane.
I dati.
Secondo di le cifre raccolte dall'ufficio di statistica del Ministero
dell'Università, nello scorso anno accademico sono stati 48.797 i
docenti a contratto reclutati dagli atenei. Di questi a ben 33.008 è
stata affidata la titolarità di un insegnamento ufficiale. Ovvero per
12 mesi esperti di un determinato settore, liberi professionisti o
semplici laureati dal curriculum accattivante hanno svolto in tutto e
per tutto le funzioni di un docente universitario tenendo lezioni,
presenziando alle sessioni d'esame, ricevendo gli studenti e
assegnando tesi di laurea. Un lavoro che normalmente ai docenti di
ruolo frutta migliaia di euro l'anno e che invece ad un "contrattista"
viene riconosciuto con una retribuzione, nella migliore delle ipotesi,
di appena mille euro ad incarico. Un fenomeno in continua ascesa visto
che negli ultimi cinque anni il numero dei docenti a contratto si è
moltiplicato del 126%, passando da quota 21.536 del 2000 ai quasi 50
mila del 2005 (ultimo dato disponibile).
Gli
atenei a contratto.
La moda di affidare a non accademici moduli didattici o un intero
corso universitario ha contagiato quasi tutti, senza molte differenze
tra atenei pubblici e privati. In testa a questa speciale classifica
c'è l'Università di Bologna con 2.744 docenti messi sotto contratto
nel 2005, di cui 1148 erano titolari di insegnamenti ufficiali.
Seguono la Cattolica di Milano con 2706, l'Università di Padova con
2124 e quella di Pavia con 2124 contrattisti. Ma se per alcuni di
questi atenei la proporzione tra docenti di ruolo e a contratto è
ancora a favore dei primi (la somma dei professori ordinari, associati
e ricercatori dell'Alma Mater bolognese è di 3092) per altre
università, soprattutto quelle più piccole, la realtà è completamente
ribaltata. E' il caso, tra gli altri, dell'ateneo di Ferrara dove a
fronte di 678 docenti di ruolo quelli a contratto sono 1400, di cui
quasi il 90% è titolare di insegnamenti ufficiali. Oppure di alcune
facoltà della Sapienza di Roma (Architettura, Psicologia, Scienze
della comunicazione, Sociologia) dove il numero di docenti a contratto
supera quello di tutti i docenti di ruolo messi insieme, inclusi i
ricercatori.
Questione di budget.
Le cause che hanno spinto gli atenei a ricorrere ad un così massiccio
utilizzo di docenti a contratto sono soprattutto di natura economica.
Visto che molto spesso chi accetta di insegnare all'università,
svolgendo molto spesso un altro lavoro, si accontenta anche di poche
centinaia di euro. Facendo risparmiare così alle università cifre
considerevoli. "Non tutti i docenti a contratto vengono sottopagati -
spiega Alessandro Perfetto, dirigente dell'area amministrativa
dell'ateneo emiliano - . Soprattutto nelle facoltà di nuova
istituzione, le retribuzioni possono anche adeguarsi attorno ai 10/15
mila euro l'anno. Dipende dai singoli casi. Più in generale, poiché la
stragrande maggioranza di questi docenti sono dei professionisti o
esperti che svolgono anche un altro lavoro, gli stipendi possono
essere anche al di sotto dei mille euro. Certo in linea generale i
docenti a contratto per le università italiane rappresentano
sicuramente un vantaggio in termini economici, visto che il loro
stipendio incide diversamente sulle casse dell'ateneo rispetto a
quello di un professore di ruolo. Ma non dimentichiamo che le
università negli ultimi cinque anni hanno dovuto fare i conti con una
crescita senza freni dell'offerta formativa. E quella dei docenti a
contratto era l'unica strada percorribile per tenere i bilanci sotto
controllo".
Tutta colpa del "3+2".
In effetti se il decreto del 21 maggio del 1998 parlava di docenza a
contratto solo nel caso in cui le università dovessero "sopperire a
particolari e motivate esigenze didattiche", lasciando quindi
intendere la straordinarietà della norma, gli atenei nella realtà si
sono fatti prendere un po' la mano facendo ricorso ai contrattisti
senza pensarci su due volte. Soprattutto perché con l'entrata in
vigore del sistema del "3+2" la priorità era diventata quella di
assicurare l'insegnamento di migliaia di nuovi corsi di laurea senza
pesare eccessivamente sulle casse dell'ateneo. "La volontà del
ministro Mussi di mettere un freno a questo fenomeno ci trova
abbastanza d'accordo - dice Silvano Focardi, rettore dell'Università
di Siena, che lo scorso anno aveva poco più di mille docenti a
contratto - Già da quest'anno nel nostro ateneo abbiamo previsto un
taglio del 20% alle supplenze e ai singoli contratti. Sicuramente le
università in questi anni hanno abusato di questo istituto ma è tutto
collegato all'entrata in vigore del "3+2", visto che con il ricorso ai
docenti a contratto si poteva facilmente far fronte a qualche carenza
dal punto di vista organico. A mio avviso però considerare tutti le
tipologie di docenti a contratto come dei precari dell'università è
sbagliato. Tra di loro, è vero, ci sono molti professionisti che
tengono degli interi corsi universitari e seguono i ragazzi anche
durante le tesi, ma ce ne sono anche altri che entrano in aula solo
per qualche ora".
"Più ore ai prof".
Ma adesso che il decreto varato dal ministro Mussi riporterà la
situazione alla normalità, il vero rischio per gli atenei è che il
taglio dei contrattisti finisca con il compromettere del tutto i già
traballanti bilanci delle università. "Soldi in più soprattutto in
questo particolare momento non ce ne sono - assicura il rettore
Focardi - Come faranno gli atenei a sostituire i contrattisti non lo
so. Un'idea potrebbe essere quella individuata dalla legge 230 sullo
status giuridico della docenza che prevedeva un aumento delle ore di
insegnamento dei professori universitari fino a 120 ore, contro le 60
attuali. La priorità adesso è non incidere ulteriormente sui bilanci".