“Nuovi professori per studenti diversi:
è ora di cambiare”.

Parla l'ex preside della Facoltà di Lettere Nicola Tranfaglia.

Alessandro Mondo, da La Stampa  del 26/3/2007

 

Sarà che ha lasciato la cattedra quest’anno, sette anni prima del termine stabilito e in largo anticipo rispetto all’ondata di pensionamenti che a medio termine promette di rivoluzionare l’Università degli Studi, ma il professor Nicola Tranfaglia - 68 anni, ex-preside di Lettere ed ora deputato - giudica positivamente l’imminente passaggio di consegne: 500 docenti in uscita da via Po entro il 2012, una svolta epocale. «Negli ultimi anni c’è stata un’accelerazione del tempo storico, ormai l’Università attuale non è paragonabile per criteri di insegnamento e struttura didattica a quella degli Anni 60 e 70. Anche gli studenti sono diversi».

In che senso?

«Il cambio generazionale si avverte soprattutto nella preparazione di chi accede all’ateneo: un tempo gli studenti arrivavano dai licei e potevano contare su un buon livello di formazione».

Ora non è più così?

«Purtroppo no. La crisi della scuola superiore, ma direi anche di quella inferiore, ha falsato i termini. Spesso l’Università è obbligata ad un ruolo improprio, quello di fare quasi una prima acculturazione. In compenso, i ragazzi di oggi sono più stimolati e curiosi, hanno una maggiore capacità di interpretare le dinamiche del mondo che li circonda attraverso lo studio dei documenti. Non è l’unico cambiamento. Anche il “boom” di iscritti, frutto della liberalizzazione nell’accesso all’Università, è un ricordo. Oggi gli studenti non crescono in maniera significativa».

Sta dicendo che l’Università come la conosciamo rispecchia un mondo che non c’è più?

«In questi anni gli adeguamenti non sono mancati. Io stesso, quando ero preside, ho introdotto diverse novità per modernizzare la Facoltà di Lettere. Altri cambiamenti, penso al frazionamento eccessivo degli insegnamenti, non hanno avuto un effetto positivo. E questa è colpa degli accademici. Né aiutano i pesanti tagli sanciti con l’ultima Finanziaria. Detto questo, il passaggio di consegne fra vecchi e nuovi docenti è positivo nella misura in cui permette l’affermazione di una classe giovane e preparata di cattedratici».

Quanto giovani?

«Restando alla Facoltà di Lettere, dove ho insegnato per quarant’anni, parliamo di un’età compresa fra 35 e 55 anni. Sono contento perché ho lasciato un gruppo di storici contemporanei molto bravi a insegnare, è importante costruire un’eredità».

Non teme che il pensionamento di tanti cattedratici autorevoli si traduca in un impoverimento dell’Università? E’ un rischio calcolato?

«Svolte come questa si verificano mediamente ogni trent’anni, un’altra ondata di pensionamenti è prevista dopo il 2013 La differenza, semmai, è che la mia generazione, quella che ha cominciato subito dopo il miracolo economico, ha segnato un’epoca».

Appunto.

«Però molti sono rimasti. La possibilità di continuare a insegnare e a fare ricerca ancora per sei anni, riservata ai colleghi che lasceranno l’ateneo prima del limite massimo d’età, è un altro modo per stare vicino a chi subentra e accompagnarlo nella prima fase controbilanciando il rischio di un salto troppo brusco. Io stesso tornerei ad insegnare volentieri, e con la stessa passione: purtroppo il mio incarico politico non lo permette».

Largo ai giovani, allora?

«Sì, se lo meritano. E quelli che si preparano a raccogliere il testimone hanno già avuto modo di guadagnarsi la nostra fiducia. Piuttosto bisogna lavorare per abbassare l’età di chi accede all’insegnamento universitario, ridurre la soglia di ingresso per garantire una successione graduale alle cattedre. Su questo sono d’accordo con il ministro Mussi: servono più concorsi per giovani ricercatori».

Cosa augura a un giovane che oggi prende posto in cattedra?

«Di saper instaurare un rapporto di fiducia con i giovani studenti e con i giovani ricercatori, unendo la didattica alla ricerca. Proseguire gli studi anche quando si insegna e ed essere abbastanza aperti per cogliere nuovi stimoli dai ragazzi: sono due facce della stessa medaglia».