Precari: la corsa per le supplenze da una
lezione.
E il prof a giornata aspetta in stazione.
Rosa Talarico,
La Stampa del
23/3/2007
Partono un bel po’ prima delle cinque dalla
provincia di Napoli o di Avellino. Salgono sul pullman della speranza
e arrivano a Roma, stazione degli autobus Tiburtina, oltre due ore
dopo. La speranza è quella di guadagnarsi anche oggi una supplenza.
Sull’autobus degli insegnanti precari e pendolari forzati si conoscono
tutti. Una familiarità da compagni di viaggio con cui si dividono gli
sbadigli e il freddo delle albe invernali. Tra loro c’è chi non sa
neanche dove gli toccherà insegnare. Aspettano una chiamata dalla
scuola. Se non arriva si torna a casa. Ma di solito, per fortuna, a
telefonare sono anche più istituti contemporaneamente. Camminando a
passo svelto verso la fermata dell’autobus che la porterà alla scuola
elementare di viale Adriatico, zona Nomentana, Carmela (Carmelina)
Monda racconta che «di noi non parla nessuno. Siamo pure più
sfortunati, quelli di Caserta intervistati da Ballarò hanno la
comodità del treno. Si possono svegliare un’ora dopo».
Quelli di Caserta: ovvero altri insegnanti precari che, incastrati
nelle graduatorie gonfie e immobili della provincia di Napoli, migrano
verso Roma in cerca di supplenze brevi: anche solo un giorno. Così, il
treno che arriva a Termini alle 7.45 lo chiamano «il vagone del
Provveditorato». Partenza alle cinque, sperando che durante il viaggio
il preside di qualche scuola, sprovvisto di un docente, alzi il
telefono per convocare un supplente d’emergenza. Al secondo piano
della stazione Termini c’è un bar self service, a quell’ora è chiuso.
Le sedie e i tavolini vuoti accolgono maestre col cellulare tra le
mani e la batteria carica. «A Tiburtina andiamo al Cristal Bar -
continua Carmelina -, e se la chiamata arriva entro le 8 bene, è per
la mattina. Se arriva più tardi bisogna far passare il tempo fino al
turno del pomeriggio».
Per poi piovere in classi ostili, dove «se un professore è violento lo
licenziano in tronco - osserva Carmelina -. Gli studenti violenti,
però non li licenzia nessuno. In classe ci arrivano le sedie sulla
schiena...». Carmelina ha due figli di 13 e 19 anni, e alle spalle già
un anno di viaggi a Roma per le supplenze brevissime saltando da
un’aula all’altra, da un autobus all’altro. «Quest’anno invece sono
fortunata: insegno dal 21 novembre fino all’8 giugno, e sempre nella
stessa scuola». Non c’è imbarazzo a parlare di fortuna con un lavoro
da 1.100 euro al mese (ci sono 300 euro di abbonamenti tra pullman e
metropolitana) che la fa rientrare a casa tra le sei e le nove di sera
con la cena ancora da preparare. «Che fine faremo noi precari?» si
chiede l’ insegnante, mentre l’arrivo dell’autobus mette fine alla
conversazione. La domanda, annotata sul taccuino, galleggia tra cifre
sconfortanti: sono 180mila i precari a livello nazionale.
I pendolari dalla Campania al Lazio riproducono gli spostamenti
storici di insegnanti che dal Sud vanno a lavorare al Nord. Un esodo
destinato ad aumentare con la stabilizzazione prevista dalla
Finanziaria di 150mila insegnanti. «Questo è un periodo di vacche
grasse per i precari» afferma sorprendentemente Gianfranco Pignatelli,
presidente nazionale del Cip (il Comitato insegnanti precari,
associazione riconosciuta dal ministero dell’Istruzione che esiste da
dieci anni). Presto svelato il motivo del tono trionfale: «Dopo la
sfacchinata degli scrutini - spiega Pignatelli - molti titolari di
cattedra si prendono un periodo di riposo». Per i precari si tratta
invece di fare gli straordinari. I peggiori sono gli insegnanti che si
mettono in congedo prima degli scrutini, abbandonando il compito
vitale della valutazione degli studenti a un supplente che neanche li
conosce e si sobbarca la fatica di riunioni e consigli. Sul pullman,
di ritorno a casa, quando la frenesia della mattina lascia il posto
alla stanchezza e c’è il tempo per raccontare meglio la propria
inesorabile quotidianità. Francesco (Franco) Melissa ha 50 anni e
parte da Baiano, provincia di Avellino, alle 4.40 di mattina. Ha
moglie e tre figli. Fino al 2001 era disoccupato. Ora è collaboratore
scolastico, fa il bidello in una scuola dalle parti di piazza Fiume.
Rientra nelle categorie protette perché è orfano di guerra. Da quattro
anni fa avanti e indietro ogni giorno per mettere insieme poco più di
900 euro al mese.
Marietta Squillante è di Civitile, provincia di Napoli: insegnante di
sostegno alle superiori. Anche a lei quest’anno è andata tutto sommato
bene. «Ho una supplenza annuale a Tivoli. Prima insegnavo nelle scuole
private vicino casa, poi mi sono sposata e ho avuto una bambina. Sono
in graduatoria a Napoli, ma lì non arrivano mai a chiamarmi. Così ho
fatto la scelta di viaggiare, anche se mia figlia sente la mancanza
della mamma».
C’è anche un servizio di aiuto notturno: per chi è costretto a restare
a Roma fino a tardi - magari un collegio dei docenti va per le lunghe
- si mette in moto la rete di solidarietà degli alloggi di fortuna a
casa di colleghi, parenti e amici. Basta un posto per stendersi, e
d’altronde tutto va bene pur di non pagare il conto di una stanza e
intaccare lo stipendio. «La stabilizzazione per molti, sarà l’ultimo
treno» conclude Pignatelli, 25 anni di vita da precario. «Non sai da
quale stazione passerà, ma non hai nessuna intenzione di perderlo». Di
certo agli insegnanti-pendolari l’allenamento non manca: anche questi,
che fanno pratica con gli autobus.