Troppe ore a scuola? Fanno male.

La quantità non significa necessariamente qualità. Stare molto in aula finisce
con lo scoraggiare, anzi azzerare l’altro tempo dell’istruzione: lo studio.

Elena Loewenthal, La Stampa  del 25/5/2007

 

Duecento e otto giorni nel calendario scolastico piemontese del prossimo anno. Otto «secchi» in più del minimo previsto per legge. Questa decisione dell'assessore Gianna Pentenero è certo apprezzabile su un piano «logistico». La decentralizzazione del sistema scuola ha, negli ultimi anni, creato autentici caos in famiglia: bastavano due figli a irrisoria distanza di età per fare delle agognate vacanze un'autentica gimcana. Ponti alterni, santi patroni zonali, natali elastici, magari fra scuole a un isolato di distanza l'una dall'altra. Ben venga dunque, quanto meno a livello regionale, una scansione uniforme del calendario.

Al di là del vantaggio tecnico, questo trend di crescita dei giorni di scuola è discutibile. Siamo uno fra i paesi europei dove si sta più a scuola. Ovviamente ciò costituisce un vantaggio per molte famiglie lavoranti, e soprattutto nel primo ciclo di studi può rappresentare una buona occasione. Ma per le superiori il discorso è ben diverso.


Il guaio vero

Il fatto è che stare a casa da scuola non significa necessariamente ozio beato. Il guaio vero è che i nostri ragazzi passano sì troppo tempo a non far nulla: a scuola. Duecento e otto giorni in classe sono veramente troppi, soprattutto se moltiplicati, come capita spesso, per orari quotidiani dilatati allo spasimo. Dopo che un figlio ha scaldato il banco dalle otto del mattino alle tre del pomeriggio, come si può pretendere ancora qualcosa da lui?

Troppa scuola fa male. Passare tante ore a scuola mette inevitabilmente nella stanca condizione di non riuscire più a stare con gli occhi sopra un libro: come si fa a studiare, con la testa appesantita dall'interminabile mattinata piena di parole e brusii? Resta soltanto la voglia di svuotarla, quella testa. E poi, il proprio dovere di studente si compie già egregiamente restando tanto tempo davanti agli insegnanti. Ascoltando (o fingendo di ascoltare) quel che hanno da dire. La bulimia di ore a scuola finisce insomma per scoraggiare, anzi azzerare, l'altro tempo dell'istruzione: lo studio. L'impegno individuale a tu per tu con se stessi.


Cinquanta minuti memorabili

Questa patologica dilatazione del tempo «extracurriculare» - le ore eccedenti i minimi ministeriali - sono considerate una garanzia di eccellenza: il liceo che si rispetti «offre» più materie e più materia. Ma la quantità di ore non significa necessariamente qualità. Anzi. Tanti anni fa mi bastarono 50 memorabili minuti di spiegazione sulla tragedia greca per comprendere la civiltà classica. Per capire, prima di tutto, il senso di quel nostro stare sui banchi (molte meno ore al giorno di oggi) a rincorrere lingue e parole antiche, ad almanaccare su un aoristo di Sofocle. E sapere perché stavi lì, in quell'aula grigia a studiare la tragedia greca, fu una gran bella scoperta.

Ora invece l'apprendimento è diluito lungo un calendario interminabile, la materia è fornita in dosi omeopatiche, per lo più insapori. E lo studio, quello vero che si fa a casa, da soli con se stessi - con le proprie limitazioni e i progressi, con la fatica e la furbizia, con la noia e l'entusiasmo: tutto serve per crescere - quello studio, di fronte a duecento e otto giorni di scuola, diventa purtroppo un ingombro superfluo.

Elena.loewenthal@webmail.lastampa.it