Religione a scuola, la «sorpresa» di Fioroni.

Marina Boscaino da l'Unità del 13/5/2007

 

Tra un’adesione al family day e una concessione alle scuole private il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, ha trovato il tempo di aggiungere all’ordinanza ministeriale relativa all’Esame di Stato (n. 26, 15 marzo 2007) due punti - il 13 e 14 - che hanno destato non poche preoccupazioni e rafforzato sospetti o certezze.

Scadono domani i termini della notifica del ricorso presentato da una serie di associazioni (tra cui il Comitato per la laicità della scuola e il Cidi) che - controcorrente, di questi tempi - hanno ancora a cuore il tema della laicità dello stato e della scuola pubblica, per la cancellazione di quei due punti.

Di cosa si tratta? Il punto 13 stabilisce che «I docenti che svolgono l’insegnamento della religione cattolica partecipano a pieno titolo alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l'attribuzione del credito agli alunni che si avvalgono di tale insegnamento». Il credito scolastico, per i non addetti ai lavori, è il punteggio che il consiglio di classe attribuisce agli studenti prima degli esami. Con una punta di ipocrisia o di ottimismo (a seconda del buonumore di chi formula il giudizio) si aggiunge che «analoga posizione (...) compete ai docenti di attività didattiche e formative alternative all'insegnamento della religione cattolica».

Chiunque abbia varcato il cancello di una scuola superiore negli ultimi anni sa perfettamente che molto raramente le scuole prevedono materie alternative per chi non si avvale, preferendo - per ovvi motivi - strutturare l'orario in maniera tale da anticipare l'uscita o posticipare l'entrata dei pochi infedeli; o - là dove, altra nota dolente, le biblioteche esistono - dirottarli nella sala di lettura. Ma per la valutazione dello «studio individuale» (pure prevista dalle sentenze della Corte Costituzionale) ogni scuola definisce modalità di valutazione differenti. Il punto 14 ci spiega ancor meglio che: «l'attribuzione del punteggio, nell'ambito della banda di oscillazione, tiene conto (...) del giudizio formulato dai docenti di cui al precedente comma 13 riguardante l'interesse con il quale l’alunno ha seguito l’Irc (insegnamento della religione cattolica, ndr)» e continua omologando le fantomatiche attività alternative di cui sopra.

Siamo - è fatto ormai conclamato - in un periodo di pressione confessionale fuori da ogni controllo e da ogni ragionevole sostenibilità. Siamo costretti a scendere in piazza per difenderci, manifestando, dalla violenza di modelli omologanti che vincolano ad un'unica possibilità il modo di amarsi, il diritto di amarsi nella maniera che si preferisce, la possibilità di far derivare dei diritti da quell’amore.

Siamo costretti - come insegnanti e come cittadini - ad assistere a questa ulteriore incursione che mette in discussione il concetto che «l'insegnamento della religione cattolica non deve essere in alcun modo discriminante», come stabilito dalla Corte Costituzionale in seguito a quanto definito dal Nuovo Concordato del 1985. C’era bisogno di tutto questo? C’era bisogno di una volontà così intransigente? C’era necessità di marcare in termini tanto netti il fatto che il nostro paese, più di ogni altro, ha sempre dovuto accettare il diritto-dovere - riservato alla Chiesa - di intervento, di attacco, di critica esplicita alle norme sgradite?

E perché questo inasprimento della pressione e questo allentamento dei limiti proprio da parte di un governo di centro-sinistra?

Eppure il colpo di mano della Moratti, che aveva immesso in ruolo insegnanti di religione ponendoli in una anomala situazione di assoluto privilegio, determinata dal poter godere di diritti derivanti sia dal diritto canonico che da quello civile, aveva sollevato proteste da più parti. Benché la religione cattolica non faccia parte delle materie su cui calcolare la media, il docente di religione cattolica può influire sull'attribuzione del credito. In un Paese come il nostro, dove le suore allevano generazioni di bambini alla scuola materna, può sembrare un dettaglio quasi irrilevante. In un paese come il nostro dove, proprio per difendere le suddette suore, si continuano a devolvere in misura persino crescente soldi pubblici alle scuole private, può sembrare un passaggio poco significativo.

In realtà - oltre alle conseguenze in termini pratici, se solo si pensa a borse di studio o ad ammissioni a facoltà, soprattutto straniere, che sono vincolate al punteggio d'uscita - si tratta di una grave violazione della laicità della scuola pubblica e del criterio di pari opportunità e di uguaglianza (art. 3) che essa è tenuta a garantire dalla nostra Costituzione. Nonché di una fastidiosa sollecitazione a un'omologazione a una logica di normalità e conformismo premiante: una logica lontana da ogni idea di coscienza critica, la cui formazione rappresenta uno dei primi mandati che la scuola dovrebbe avere nei confronti dei propri alunni.