Scuola e antiscuola.

A proposito della distruzione della lezione ordinaria.

Paolo Mazzocchini  da DocentINclasse, 3/5/2007

 

C’è un antiscuola nella scuola? Credo di sì, se si pensa a quell’apparato sempre attivo, all’interno di ciascun istituto, nell’escogitare e produrre un numero infinito di attività cosiddette integrative e complementari della normale e ormai vetusta lezione ordinaria: stages, settimane culturali, progetti, uscite, iniziative pubblicitarie, incontri con preti, carabinieri, giudici, metereologi e chi più ne ha, più ne metta.

In realtà tutti vedono che queste non sono realmente attività integrative, bensì sostitutive; e che, a forza di sostituire, la lezione ordinaria si sta smagrendo sempre più e i programmi (cioè le programmazioni curricolari) si riducono progressivamente, come filiformi torrentelli in un periodo di secca.

C’è forse un guadagno culturale a fronte di questa perdita, una maggiore ricchezza formativa per gli allievi che compensi l’emorragia di saperi curricolari?

Per niente affatto: anzi, si instaura così quella che chiamerei la didattica del frullatore o dell’insalata mista, che non permette minimamente di sistematizzare e perciò di assimilare profondamente e stabilmente quello che si ascolta durante il bombardamento continuo ed eterogeneo di nozioni che provengono dai progetti, dagli incontri, dalle uscite ecc.

La presunta ricchezza di imputs è acqua sulla roccia del cervello degli allievi.

Il solo risultato è che da una dozzina d’anni a questa parte (dall’esordio della scuola autonoma) io (per esempio) riesco a svolgere in un triennio liceale non più dei due terzi del programma che svolgevo prima. Grandi autori e fenomeni della storia letteraria rimangono esclusi dalla trattazione. O se ci si incaponisce a volerli trattare, lo si deve fare in maniera sommaria, perciò inutile.

Tutto questo nobile sistema viene sostenuto con forza e talora con protervia dai dirigenti e da vari insegnanti loro collaboratori (meglio: collaborazionisti), perché per loro ciò che conta è l’immagine (o l’apparenza) di modernità (non la vera qualità) che questo meccanismo garantirebbe alla scuola di fronte all’opinione pubblica.

Tutto ciò, a parte gli irreparabili danni culturali di cui sopra, comunica altresì continuamente agli allievi l’idea che il lavoro curricolare sia una cosa vecchia, stantia, un misero tappabuchi del tempo che non si riesce a occupare con più brillanti progetti ed iniziative para - ed extra - di vario tipo.

Tutto ciò infine ( e questo mi pare più grave) viene accettato troppo fatalisticamente da molti di noi insegnanti, che mugugnamo al massimo tra di noi, ma non abbiamo spesso il coraggio di opporci nelle sedi ufficiali a questo allegro andazzo.

Anche perché, diciamocelo francamente, a molti di noi non fa proprio schifo, egoisticamente parlando, di starsene senza far lezione mentre i nostri allievi sono intrattenuti da altri, o impegnati in orientamenti, settimane bianche o autogestite o alternative...

Insomma, ad opporsi con forza a questo sistema si rischia pure di fare la figura del fesso!

Eppure secondo me, su questo fronte, si gioca il futuro della nostra scuola e, direi, anche della nostra tanto rimpianta immagine sociale, della nostra rispettabilità e credibilità.

Non mi pare cosa da poco.

Perciò alcuni insegnanti della mia zona (provincia di Ancona) stanno progettando di organizzare un dibattito pubblico (tanto per non continuare a cantarcela e suonarcela tra noi!) su Scuola e antiscuola: se ce la faremo, ve ne daremo tempestivamente notizia su questo sito.