Bildung ist Bindung
(L’educazione è
relazione).
Eros Barone da
DocentINclasse, 29/5/2007
È di Spinoza la massima: “Humanas res nec
lugere nec indignari, sed intelligere” (intorno
alle cose umane non versare lacrime né esprimere indignazione,
sfòrzati in-vece di comprenderle).
Orbene, a partire dalla tragica fine di un ragazzo che muore in classe
a causa di una ‘overdose’ di ‘crack’, passando attraverso i molteplici
episodi di bullismo e di violen-za sessuale, per giungere al
declassamento sociale e professionale degli insegnanti, assistiamo ad
una caduta verticale delle capacità educative delle famiglie, della
socie-tà e della scuola. L’ipotesi esplicativa che ritengo di poter
formulare è che tale im-pressionante caduta dei codici simbolici che
regolano i comportamenti sociali e civili (una vera e propria
catastrofe antropologica, la cui drammatica percezione, trentun anni
dopo la morte di Pier Paolo Pasolini, dovrebbe accomunare laici e
cattolici o, per usare, giust’appunto, una bella metafora pasoliniana,
‘spartani’ e ‘ateniesi’) dipende dalla progressiva erosione e
tendenziale distruzione dei legami sociali, entrambe con-nesse
inscindibilmente alle politiche neoliberiste.
Queste ultime, dopo aver determinato lo sfilacciamento del tessuto
connettivo eco-nomico, civile ed etico-sociale, vengono ora
convertite, all’insegna del rozzo binomio ‘western’ di ‘legge e
ordine’, in politiche sempre più autoritarie e securitarie da classi
al potere che sono sempre più dominanti e sempre meno dirigenti, non
avendo lette-ralmente nulla da proporre sul piano dei valori, come, da
ultimo, ha dimostrato in modo lampante il modello ultracompetitivo e
arcimercantile, ad un tempo selvaggio e miserabile, proposto
recentemente dal presidente della Confindustria (né, d’altra par-te,
si può considerare qualitativamente diverso, anche se di grado più
temperato, il modello proposto e incarnato dalla destra tecnocratica
ed elitaria attualmente al go-verno, mentre sulla destra populista e
pubblicitaria berlusconiana non vale neanche la pena di soffermarsi).
Mi preme allora, muovendo da queste premesse, sollevare due problemi
di ordine teorico, che i processi or ora evocati pongono all’ordine
del giorno dell’agenda di co-loro che intendono contrastare e,
possibilmente, invertire la direzione di marcia re-gressiva verso cui
procede la nostra società.
Il primo è quello della demistificazione critica della ideologia
individualista, oggi dominante, che concepisce la società come una
serie di esseri isolati gli uni dagli altri che intrecciano tra loro
relazioni di tipo utilitaristico e contrattuale e guarda, di
con-seguenza, all’individuo come ad un microcosmo separato e
autosufficiente rispetto al contesto sociale, storico e culturale, in
cui è invece profondamente inserito e da cui è profondamente
condizionato. In realtà, occorre cambiare ottica e, tenendo presente
l’assioma di Marx secondo cui “l’uomo è il mondo dell’uomo”, occorre
guardare al problema (e ai problemi) dell’individuo come ad un ‘mondo’,
per l’appunto, in cui tra l’intimità più profonda e l’esteriorità più
assoluta non c’è, come nel nastro di Moe-bius, alcuna soluzione di
continuità, cosicché alla fine interno ed esterno risultano
in-discernibili.
Il secondo problema, che occorre affrontare per interpretare
correttamente le situa-zioni di rischio, disagio e devianza, che si
manifestano nella società e, segnatamente, nella scuola, nonché per
delineare un percorso attraverso cui le parole e le azioni del-la
cittadinanza (istruire/educare/prevenire/includere) si trasfòrmino in
relazioni di eti-ca sociale e di senso, il secondo problema, dicevo, è
la riscoperta della sfera del desi-derio, che è una sfera
eminentemente relazionale e sociale.
In questo senso, è giusto osservare che ciò che oggi inquieta gli
insegnanti, i forma-tori e gli educatori è che la società attuale
sembra non essere più in grado di proporre ai giovani la loro
inclusione sociale come frutto e fonte di un desiderio profondo.
Traducendo nel linguaggio della sociologia contemporanea, è questo il
volto della ‘società liquida’, che Zygmunt Bauman ha definito in tal
modo per mettere in risalto l’azione corrosiva esercitata dal
capitalismo sulle strutture tradizionali delle società
precapitalistiche e sulle differenti forme di organizzazione della
stessa società capita-listica: “La borghesia non può esistere senza
rivoluzionare continuamente gli stru-menti di produzione, i rapporti
di produzione, dunque tutti i rapporti sociali”.
Marx aveva compreso la potenza della produzione capitalistica, che è,
insieme, cre-azione e distruzione, che produce, insieme, nuovi
rapporti sociali, ma anche rifiuti sociali ed emarginazione, che
gènera, in un crescendo inarrestabile, disagio, malesse-re, devianza e
criminalità. Non a caso le passioni generate da questa società e dalla
sua cultura sono definibili, con espressione spinoziana, ‘passioni
tristi’ (senso di mi-naccia, senso di incertezza e senso di
impotenza).
Come fare allora a riscoprire la potenza del desiderio, fattore che
pone in relazione con gli altri e condizione per generare ‘passioni
gioiose’? In altri termini, come e che cosa fare al fine di collegare
la “lotta per il riconoscimento” con la ricostituzione dei legami
sociali lacerati, nella produzione, nel territorio, nella famiglia e
nella scuola, da una società sempre più individualista e libertaria
nelle intenzioni soggettive e sempre più oppressiva e illiberale nella
sostanza oggettiva? Occorre cercare una ri-sposta a queste domande
cruciali, animati dalla duplice consapevolezza che, come di-cono i
tedeschi, “Bildung ist Bindung”
(l’educazione è relazione)
e che il conflitto sul terreno dei valori, la gramsciana “riforma
intellettuale e morale”, è un fattore prezio-so di crescita per
l’intera società.