Il dilemma di un genitore
di fronte al figlio bullo.
Umberto Galimberi,
la Repubblica
13/6/2007
Quest'anno la scuola,
come mai era successo, è salita di frequente agli onori della cronaca
non per la sua qualità, ma per il suo degrado in ordine al
comportamento degli studenti che prendono a pugni i più deboli,
palpeggiano le professoresse, fotografano scene sessuali che poi
mandano su internet, fino a invadere aule e corridoi con i loro
motorini.
Si dirà che il bullismo c'è sempre stato, come eccesso dell'esuberanza
giovanile. È vero. Ma oggi ha passato paurosamente il limite, al punto
da generare nei genitori angoscia, negli insegnanti impotenza, e nella
società nel suo complesso disorientamento. Le ragioni vanno cercate
nel fatto che siamo passati dalla "società della disciplina", dove ci
si dibatteva tra permesso e proibito, alla "società dell'efficienza e
della performance spinta", dove ci si dibatte tra il possibile e
l'impossibile, senza nessun riguardo e forse nessuna percezione del
concetto di "limite". Per cui oggi siamo a chiederci: qual è il limite
tra un atto di esuberanza e una vera e propria aggressione, tra un
atto di insubordinazione e il misconoscimento di ogni gerarchia, tra
le strategie di seduzione troppo spinte e l'abuso sessuale? E questo
perché i giovani d'oggi, a cui nulla è negato, non si sentono mai
sufficientemente se stessi, mai sufficientemente colmi di identità,
mai sufficientemente attivi, se non quando superano se stessi, senza
essere mai se stessi, ma solo una risposta ai modelli o alle
performance che la televisione e internet a piene mani distribuiscono,
con conseguente inaridimento della vita interiore, desertificazione
della vita emozionale, insubordinazione alle norme sociali. Il
risultato è che genitori e insegnanti non sanno più come far fronte
all'indolenza dei loro figli o dei loro alunni, ai processi di
demotivazione che li isolano nelle loro stanze a stordirsi le orecchie
di musica, all'escalation della violenza, allo stordimento degli
spinelli che intercalano ore di ignavia
Tutti questi sintomi sono iscrivibili, come scrive il filosofo
francese Miguel Benasayag, "nell'oscurarsi del futuro come promessa e
nell'affacciarsi di un futuro come minaccia". La mancanza di un futuro
come promessa arresta il desiderio nell'assoluto presente. Come scrive
il sociologo tedesco Falko Brask, "meglio esagitati ma attivi che
sprofondati in un mare di tristezza meditativa, perché se la vita è
solo uno stupido scherzo, dovremmo almeno poterci ridere sopra".
Questo significa che oggi i nostri ragazzi si trovano ad avere
un'emotività sovraeccitata che li sposta dove vuole a loro stessa
insaputa, senza che un briciolo di riflessione, a cui non sono stati
educati, sia in grado di raffreddare l'emozione e non confondere il
desiderio con la pratica anche violenta per soddisfarlo. L'eccesso
emozionale e la mancanza del raffreddamento riflessivo li portano a
oscillare tra lo stordimento dell'apparato emotivo, attraverso quelle
pratiche rituali che sono le notti in discoteca o i percorsi della
droga, e il disinteresse per tutto, messo in atto per assopire le
emozioni attraverso i percorsi dell'ignavia e dell'eccitazione (che
conducono all'atteggiamento opaco dell'indifferenza, o quello esaltato
della violenza).
Di fronte a questi
ragazzi, che inconsciamente avvertono l'incertezza del futuro che li
induce ad attardarsi in una sorta di adolescenza infinita, resta solo
da dire a genitori e professori: non interrompete mai la
comunicazione, buona o cattiva che sia, qualunque cosa i vostri figli
o i vostri studenti facciano. A interromperla ci pensano già loro e,
come di frequente ci dicono le cronache quotidiane, anche in maniera
distruttiva.