Ricerca e formazione docenti.
Ripensarne luoghi e pratiche.

di Antonio Valentino, da ScuolaOggi del 19/1/2007

 

1. Il ventaglio delle percezioni

Sappiamo che persistono sulla formazione del personale scolastico, e soprattutto dei docenti, pregiudizi che vanno analizzati e smontati, per fondare e socializzare consapevolezze condivise e quindi pratiche coerenti.

Ci si riferisce soprattutto alla formazione in servizio degli insegnanti. Perchè sulla necessità della formazione iniziale non ci sono obiezioni; nel senso che se ne riconosce in genere la fondatezza. Sulla formazione in servizio invece sappiamo che le opinioni sono variegate, ma tutte di segno negativo. E che vanno dal pensarla come una cosa inutile, una perdita di tempo, di cui non si avverte il bisogno perché “insegnanti si nasce” o in ogni caso “basta un poco di pratica per esserne all'altezza”; al considerarla un dovere professionale una tantum o solo per chi non sa fare bene il mestiere (cioè “gli altri”). In qualche caso, l'attività di formazione è vista poi come spazio delle suggestioni ("il relatore è stato bravo, ha detto delle cose interessanti") che si esauriscono però nel piacere dell'ascolto, nella pura dimensione estetica, senza ricadute di respiro nella propria vita professionale. In ogni caso, nella percezione più diffusa, la formazione è un evento disgiunto dall'attività didattica.

Nel senso che non sembra essere diffusa l'idea che ci si possa formare anche preparando una lezione frontale piuttosto che un’attività didattica di altro tipo (superando ovviamente logiche routinarie e mettendo a punto e verificando la propria azione formativa e la sua efficacia con atteggiamento sperimentale).

E neppure quindi che si possa sviluppare crescita professionale e autoformazione contestualmente all’assolvimento dei propri doveri.

Non sembra d’altra parte neanche diffusa l'idea che si possa costruire un ponte tra attività formativa-autoformativa e riqualificazione degli organismi della collegialità docente.

Perché anche i Consigli di classe, ma soprattutto le riunioni di materia o di dipartimento sono vissuti in genere con estrema sofferenza.


2. Una proposta

Siccome però non ci si può sottrarre alle riunioni di programmazione e verifica dei consigli di classe come a quelle di materia o di dipartimento, perché costituiscono obbligo contrattuale, una non dispendiosa ipotesi di lavoro potrebbe essere quella di dare un senso a tale obbligo trasformando questi spazi, ora sostanzialmente vissuti come faticosi e dequalificati, in luoghi della formazione autonoma o guidata. La quale, in tal modo, non avrebbe necessariamente bisogno di spazi aggiuntivi per potersi concretizzare. E, molto probabilmente, con qualche vantaggio non trascurabile per i singoli insegnanti e per la scuola.

E', questa, una proposta di lavoro che però, per avere gambe e produrre risultati, richiede una considerazione preliminare e il soddisfacimento di almeno due condizioni.
La considerazione preliminare. Quando qui si parla degli organismi collegiali, si lascia fuori volutamente il Collegio Docenti, perché mal si presta a essere un luogo di crescita professionale un organismo di fatto assembleare, dal quale quello che si può oggi ottenere è sostanzialmente l'assunzione faticosa e spesso formale di decisioni "di competenza".

Pertanto qui per luoghi della collegialità si intendono, come già si accennava, il Cdc o il Gruppo di materia o le Commissioni di lavoro o i gruppi di progetto, cioè le articolazioni funzionali del Collegio Docenti.


3. Condizioni operative

Quanto alle condizioni, la prima a cui lavorare è assicurare sul piano organizzativo

a. che gli ordini del giorno siano definiti in termini di compiti e di risultati attesi, che non piovano dal cielo, ma nascano da una pianificazione condivisa non solo per i tempi, ma anche per gli esiti complessivi a cui tende;

b. che il lavoro istruttorio e di coordinamento sia svolto da collega formato ed esperto, sulla base di un incarico accettato dagli altri colleghi

c. che i gruppi di lavoro possano contare su eventuali figure di supporto metodologico e didattico esterno (o anche interno, se ci fossero risorse esperte e accettate come tali) ogni qual volta ne avvertano la necessità

d. che il numero di ore complessive per ciascun organismo non sia inferiore alle 12-15 unità e che la loro gestione sia, ove possibile, autonoma, almeno per quanto riguarda i tempi (per i Cdc, sarebbe indubbiamente difficile, in quanto richiedono, almeno con riferimento a quelli "canonici", una pianificazione centralizzata);

e. che, in presenza di risultati, in termini di prodotti didattici, a conclusione dell'intero percorso, possano esserci riconoscimenti economici (attingendo dalle risorse della formazione) da prevedere e definire in sede di contrattazione di istituto;

f. che, preliminarmente, 1. ci sia un progetto di formazione legato alle attività /compiti degli organismi collegiali, promosso o a livello di Istituto o autonomamente dai singoli gruppi; 2. che tale progetto sia condiviso e fatto proprio almeno dalla maggioranza (nel senso che se ne accettino gli obiettivi e l'idea che le riunioni si svolgano con modalità, tempi e impegni, anche individuali, propri della ricerca azione); 3. che preveda, nella fase iniziale, qualche momento di formazione almeno per la consegna degli strumenti per iniziare un percorso di ricerca azione dentro i gruppi.


La seconda condizione è quella più impegnativa in quanto fa riferimento alla cultura professionale dell'insegnante e alla necessità che:

a. la formazione non sia vissuta come un optional;

b. la cura della propria crescita professionale si muova nell'ottica del miglioramento continuo; o, se si preferisce, del procedere per approssimazioni successive verso i traguardi assunti dal gruppo come sensati e fattibili.

A quest'ultimo proposito diventa importante la messa in campo di iniziative di istituto volte a sostenere tali direzioni di lavoro, attraverso percorsi che prevedano non solo la formazione incentivata per le figure di coordinamento e l'organizzazione di occasioni leggere di formazione preliminare sulla ricerca-azione; ma anche l'utilizzo di stimoli appropriati attraverso la organizzazione della biblioteca anche come spazio di apprendimento professionale o la distribuzione periodica e continua, a livello di istituto, di materiali (articoli, saggi, …) funzionali all'obiettivo.