Dopo la fuga il niente
Scuola: si salvi chi può.
diGianfranco Pignatelli dei C.I.P. -
Comitati Insegnanti precari
da
Fuoriregistro del
22/2/2007
Sono 55.000 gli insegnanti che anticiperanno il
loro pensionamento a quest'anno. Una vera e propria fuga figlia di
tante cause. Tra queste, il panico seguito alle recenti norme
pensionistiche. A tener banco, inoltre, il disorientamento per le
pseudoriforme volute da ministri incompetenti in cerca di notorietà a
buon mercato e formulate da burocrati lontani da decenni dalla scuola
militante. Riforme sempre giocate al ribasso, per risparmiare risorse,
per tagliare classi e cattedre, per ridurre tempi e prospettive.
Riforme vendute con etichette patinate ed accattivanti dietro le quali
c'è poco o nulla. Così, in rapida progressione: i rimandi e gli esami
di riparazione sono stati rimpiazzati con la promozione per tutti, col
6 nero o quello rosso; il business delle lezioni private col
mercimonio dei corsi di recupero e degli sportelli didattici; il
rispetto del programma con la libertà di fare di tutto e niente; a cui
corrisponde il travaso delle risorse dalle attività didattiche
ordinarie ai più bizzarri progetti extracurriculari, spesso utili solo
al profitto dei dirigenti scolastici e dei loro protetti; e molto
altro ancora.
Una professione, quella docente, sempre più ghettizzata. Un tempo
apprezzata e socialmente riconosciuta, oggi marginalizzata e
disincentivata ad arte, quando non addirittura linciata. Il docente,
nell'oleografia più recente, è un precario, sottopagato e
sottostimato, quando non addirittura depravato, incapace, ignorante,
demotivato, fannullone e psicopatico. Dagli editoriali dei saccenti
tuttologi ai video della rete, dai reportage scandalistici alle
congiure genitoriali, ogni occasione è buona per la lapidazione
professionale. Così non resta che la fuga dalla scuola. Fuga da quel
luogo dove, tra l'ignavia collettiva, non si educa e non si forma ma
si intrattiene con ogni amenità, in nome della varietà ed appetibilità
dell'offerta formativa. Un luogo nel quale i diritti sono solo dalla
parte degli alunni e delle loro famiglie, le responsabilità tutte
dall'altra parte. Degli esempi? Diritto è quello di ricevere
spiegazioni curriculari, aggiuntive, integrative, individualizzate e
di recupero, a prescindere dalla frequenza, dall'attenzione e
dall'applicazione dello studente. E non finisce qui. La verifica deve
essere programmata e facilitata, corretta con ogni riguardo e valutata
con tutta la generosità possibile. E se i risultati non dovessero
essere sufficienti, la responsabilità esclusiva è tutta del docente.
In quel caso faranno quadrato studenti, genitori e dirigenti
scolastici a chiedergli conto del suo - del docente, avete capito bene
- insuccesso didattico. A poco gli servirà obiettare che la parte
prevalente della classe ha raggiunto gli obiettivi fissati, che in
taluni casi i risultati sono stati eccellenti. Nell'epoca del subito a
tutti ogni insufficienza è una sua macchia professionale. E visto che
questo è oramai percepito dal gruppo come un'arma, non è difficile che
la classe si ricompatti nel non far niente, tanto.... Già, tanto poi
la promozione, volente o nolente, arriva a tutti. Altrimenti la scuola
perde alunni, quindi cattedre, fondi, ecc. ecc.. Tutto ciò a riprova
che gli studenti non sono più dei fruitori di una istituzione, che
riconosce diritti ma richiede doveri, ma dei meri consumatori. Ed in
quanto clienti, per definizione, hanno sempre ragione. A quanti -
disquisendo di scuola - è venuto il sospetto che le famiglie non
facciano fino in fondo la loro parte, che i ragazzi hanno gravi
deficit motivazionali, che i media, con la televisione in primis,
educano prima della scuola all'effimero, al violento, all'insulso, al
triviale? Quando la famiglia era un nucleo abitato e stabile e prima
dell'avvento della televisione spazzatura o commerciale, la scuola era
altro, sì o no? Le molestie e le violenze sarebbero così ricorrenti se
la TV non riversasse programmi porno per tutta la notte nelle stanze
degli adolescenti teleprovvisti? Quei programmi, in aggiunta a quelli
con culi e tette a profusione, ostentati con fare sguaiatamente
ammiccante dai canali commerciali, spronano all'emulazione, ma anche a
considerare l'altro come cosa, niente di più che un oggetto da usare e
di cui abusare, da soli o in gruppo e, se non basta, da mostrare al
mondo come preda catturata e posseduta. Quanti PC e quanti telefonini
in dotazione degli adolescenti hanno opportuni filtri per inibire la
connessione a siti "a rischio" e alla ricezione di materiale inadatto?
Al giovane che aggredisce i genitori ed ottiene quello che vuole,
insegue un poliziotto e irride o infierisce su un'insegnante occorre
contrapporre un argine fatto di "sani principi", applicati con
coerenza e fermezza da autentici maestri, autorevoli comunque ed
autoritari quando serve. Occorre il rispetto dei ruoli di ciascuno e
l'osservanza di regole certe e condivise, alle quali facciano seguito,
solo quando meritate, gratificazioni in forma commisurata e, in caso
contrario, provvedimenti coerenti e conseguenti. Ripristinare la
responsabilità del singolo, ribadendo che l'associazione in gruppo non
è mai una attenuante ma l'aggravante che accresce la responsabilità di
ognuno in maniera proporzionale all'aumento potenziale del danno
arrecabile.
In sintesi, la formazione, la sicurezza e la competitività passano
attraverso l'azione educativa delle agenzie preposte. La scuola per
suo conto dovrà avvalersi di operatori preparati, motivati e
perennemente aggiornati, ma anche sostenuti, apprezzati ed incentivati
a svolgere un ruolo irrinunciabile e delicato come pochi. Occorre
ripristinare strumenti selettivi. Bisogna che la scuola si riappropri
di tutte le proprie funzioni, responsabilità e diritti, non ultimo
quello di provvedere alla selezione. Non per discriminare o scartare
ma per evitare il crearsi di false aspettative e aiutare ciascuno a
ricercare lo spazio più adeguato alle proprie potenzialità ed
inclinazioni. Perché, non si demotivino i capaci ma si spronino e
recuperino per davvero gli svogliati, i disagiati e gli svantaggiati.
Per questo, in sintesi, urge una svolta.
L'occasione può essere quella offerta dal turn over. Occorre però che
lo stato non lesini come sta facendo. Non si ostini ad aumentare il
numero degli alunni per classe (14.500) e tagliare le cattedre
nonostante gli alunni aumentino di 28.000 all'anno. Bisogna, invece,
investire, investire, investire. Farlo una prima volta rilanciando la
qualità, la meritocrazia e la competitività sulla scorta di regole
coerenti e chiare. Una seconda volta garantendo la continuità
didattica con la stabilizzazione del personale docente che, in assenza
di provvedimenti tempestivi, si prevede sia costituito per il 25% da
personale precario. Una terza volta facendo quadrato con famiglie ed
istituzioni perché si realizzi uno sforzo comune finalizzato alla
crescita personale, civile e culturale dei giovani. Invece i segnali
che arrivano da Roma sono avvilenti. Il ministro è ostaggio di un
vacuo narcisismo personale prima ancora che politico. Il ministero
dell'istruzione è a sovranità limitata anche quando deve stabilire la
copertura dei posti liberati o vacanti realizzando uno straordinario
risparmio sulla spesa corrente. Gli organi preposti manifestano un
disarmante deficit di idee e grinta. I sindacati tutelano solo le
misere rendite di posizione, rivelandosi miopi e insensibili garanti
di un dicastero compare più che amico. In circa otto mesi il governo
ha solo provveduto a smontare col "cacciavite" parte della dissennata
riforma Moratti e fatto poco altro ancora. Sulla carta ha varato un
programma triennale per l'immissione in ruolo di 150.000 precari, così
da portare ad esaurimento le graduatorie e debellare la vergogna della
precarietà nella scuola. In concreto, non ha provveduto - per troppi
mesi - a reperire i fondi occorrenti alla retribuzione dei supplenti
e, con la circolare ministeriale n.19/07, ha fatto sparire 14.500
cattedre in attuazione della legge finanziaria, consentendo
l'ulteriore immissione di 20.000 nuovi abilitati nelle graduatorie,
tanto per foraggiare una volta di più l'università con le risorse
derivanti dagli aspiranti docenti precari. In compenso non ha fatto
l'unica cosa che ci si aspettava: la definizione dei contingenti di
immissione in ruolo per l'anno 2007/2008. In assenza, la scuola
prossima ventura avrà 55.000 certezze in meno ed oltre 200.000
precarietà di troppo.
A nostro avviso è bene che un Comitato di Insegnanti Precari non si
limiti a indicare quanti docenti siano intenzionati a lasciare e
quanti ne dovrebbero essere immessi in ruolo, ma si esprima sulla
qualità della scuola pubblica e, più in generale, sugli obiettivi di
crescita educativa, civile e politica del Paese. Lo faccia nonostante
lo stato abbia preso dai precari tutto quanto gli serviva, quando e
come ha voluto, senza dare nulla in cambio.
Riteniamo sia un bene ribadire come l'abbandono degli insegnanti abbia
poco a che fare con le rughe, con lo spauracchio per lo scalone
previdenziale o con il calo fisiologico della memoria, ma molto col
degrado della funzione. Ma è necessario anche che un'associazione di
categoria denunci la precarizzazione di troppi, troppo a lungo. Come?
Facendo sapere che precari non sono solo i loro stipendi (ridotti e
discontinui), precaria è anche la cattedra dalla quale insegnano,
precarie diventano, inevitabilmente, le loro parole, le loro azioni, i
rapporti con i loro alunni sempre nuovi e le intenzioni che li
accompagnano, se tutto va per il meglio, per otto mesi all'anno. Come
è possibile combattere l'indifferenza verso l'autorità - il nuovo
virus che sembra aver colpito la nuova generazione - se questi docenti
non hanno neanche il tempo di progettare il da farsi che già si
trovano davanti a nuovi individui? Come fanno a dare continuità e
qualità ai percorsi di crescita se patiscono e comunicano la
precarietà come unica e sola certezza?