Le scuole sono senza fondi e il nuovo sistema di finanziamento non è partito. Precari, il salario non c'è. Diffide e decreti ingiuntivi, ecco i possibili rimedi Antimo Di Geronimo da Italia Oggi del 13/2/2007
Monta la protesta dei docenti precari per i ritardi nella corresponsione degli stipendi. Ritardi in alcuni casi anche di cinque-sei mesi, dovuti all'assenza di risorse per il pagamenti delle supplenze brevi nelle casse delle scuole (si veda ItaliaOggi di giovedì scorso). Una situazione di grave difficoltà, soprattutto in alcune regioni come l'Emilia Romagna, il Veneto, il Piemonte, la Lombardia e il Lazio. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che il ministero non ha ancora aggiornato il software per calcolare la nuova Irpef. E che, intanto, c'è un nuovo meccanismo di trasferimento diretto delle risorse alle scuole, previsto dalla Finanziaria 2007, che di fatto blocca finanziamenti fatti passando per le direzioni scolastiche regionali. Nel frattempo, i supplenti rimangono senza stipendio. Una situazione incresciosa che rischia di esporre l'amministrazione scolastica al rischio di migliaia di azioni risarcitorie. Ecco che cosa può succedere.
Il primo atto che si effettua nei casi in cui il
datore di lavoro non adempie alla controprestazione è la diffida ad
adempiere con costituzione in mora. Si tratta di una semplice lettera
nella quale il prestatore di lavoro informa il datore di lavoro della
sua intenzione di entrare in possesso del credito. Nel caso dei
docenti senza stipendio, dunque, basta depositare la missiva in
segreteria indirizzandola al dirigente scolastico. Questo atto avrà il
duplice effetto di interrompere la prescrizione (che per i crediti
retributivi è quinquennale) e di far scattare gli interessi di mora.
Il decreto ingiuntivo Se l'amministrazione non adempie entro 15 giorni dal deposito della diffida, è possibile attivare il procedimento di ingiunzione, che termina con l'emissione, da parte del giudice, del cosiddetto decreto ingiuntivo: un provvedimento d'urgenza con il quale viene intimato al datore di lavoro di versare le spettanze al lavoratore. Questa procedura, però, può essere attivata solo nel caso in cui il prestatore di lavoro (nel caso specifico il docente senza stipendio) sia in grado di vantare un credito sulla base di una prova scritta. Per esempio, la busta paga del mese precedente unitamente al contratto individuale di lavoro. In caso di vittoria il giudice impone all'amministrazione di versare il dovuto e il procedimento può concludersi in tempi brevi.
Sempre che l'amministrazione non decida di
presentare opposizione entro 40 giorni dall'emissione del decreto. Nel
qual caso si procede a un vero e proprio giudizio di cognizione che si
conclude con la sentenza. E dunque, con tempi molto più lunghi. Riti stragiudiziali
In alternativa al procedimento ingiuntivo è
sempre possibile utilizzare le cosiddette procedure stragiudiziali.
Vale a dire la conciliazione ed eventualmente l'arbitrato. La conciliazione Qualora l'interessato decida di utilizzare questo tipo di procedure, il primo atto è quello di esperire un tentativo di conciliazione. Ve ne sono di 3 tipi: la conciliazione negoziale, la conciliazione collegiale e quella arbitrale. La conciliazione negoziale consiste in un tentativo di composizione bonario della controversia. Il rito si tiene presso la segreteria di conciliazione dell'ufficio scolastico provinciale e termina con la stesura di un verbale, che costituisce titolo esecutivo.
Se l'amministrazione concilia, il verbale (che è
esecutivo fin dall'atto della sua formazione) viene depositato presso
il tribunale per una specie di delibazione: un procedimento che
prevede il recepimento della decisione tramite un provvedimento del
giudice. Del tutto analoga è la conciliazione collegiale che, però, si
tiene presso l'ufficio del lavoro, alla presenza di un rappresentante
dell'ufficio, che ha il compito di mediare tra il lavoratore e
l'amministrazione. Fin qui le conciliazioni che non comportano spese
per il lavoratore. La conciliazione arbitrale, invece, avviene davanti
all'arbitro, che, in questa fase, non ha potere decisionale, ma svolge
il compito di mediatore. Le spese di solito sono poste a carico del
datore di lavoro. Sempre che decida di conciliare. L'arbitrato
Se il datore di lavoro non concilia, è possibile
rimettere la controversia in arbitri. Nel qual caso la questione viene
discussa in una sorta di giudizio privato dove le parti si confrontano
davanti all'arbitro, che svolge le funzioni di giudice. Il
procedimento termina con la decisione dell'arbitro, che si chiama
lodo, che deve essere recepita da un provvedimento del giudice. Il
lodo può essere impugnato davanti al giudice ordinario, che decide in
un unico grado di giudizio. |